Provo che ci riprovo ad andare.
Fin dove arrivano gli occhi.
Fin dove possono i passi.
Fin dove sanno le dita su un qualunque foglio.
Fino al mio prossimo Altrove.
Ilaria Guccione, Partire partirò (Palermo, febbraio 2017)
Guardò il mare, azzurro, fermo, la raggiera all'orizzonte che s'apriva, la spiaggia dell'Arenella, villa Igiea, i Cantieri, il Porto, e la città distesa che si svelava.
L'amata sua, odiata. Intrigo d'ogni storia, teatro di storture, iniquità, divano di potenti, càssaro dei criadi, villena degli apparati, osterio di fanatismo, tribunale impietoso, stanza della corda, ucciardone della nequizia, kalsa del degrado, cortile della ribellione, spasimo della cancrena, loggia della setta, casaprofessa della tenebra, monreale del mantello bianco.
Congiura, contagio e peste in ogni tempo.
(Vincenzo Consolo, da: Lo spasimo di Palermo)
Ti uccido all'imbrunire, al risveglio ti rimpiango.
Ti eludo nello sdegno del giorno, m'illudi arrancando nel sogno che la notte rabbercia.
Trattengo l'intervallo muto del respiro, la iattura dolente nello spigolo della sera.
Questo è un post pubblicitario, che mi fa rimacon calendario.
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Compra il calendario con le mie foto scattate un passo dopo l'altro in questo popoloso deserto che appellano Palermo.
Ti ho convinto? Ancora no? E allora non hai guardato per bene la copertina che riproduce tutte le foto, perché altrimenti non avresti più dubbi.
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Un giorno dopo l'altro, il tempo se ne va.
Se ne va con minor nostalgia, se hai qualcosa di bello che ti faccia compagnia.
Ilaria Guccione, Il tempo è scaduto (Roma, luglio 2016)
Tempo si dice vecchio perché è già andato.
Tempo regge uno specchio perché solo il presente afferriamo nell'istante di un riflesso.
Tempo che gira in un tempo perfetto e circolare che solo lui sa regolare.
Tempo con i suoi denti ferrosi che basta un morso e tutto azzanna.
Tempo che strugge, rovina, consuma e sempre fugge.
Tempo che ce lo rubano ogni giorno e noi a volerci solo armare di inutile speranza, a credere di potere computare improbabili sconti che nessuno ci concederà.
Ché il tempo scontato da noi è contato dagli altri, quelli che, nel tempo ufficiale di un battito d'ali e di un volteggio barocco di clessidra, ci dicono che ormai, per loro, è troppo tardi.
Tempo che imbianca, tempo che sfianca, tempo che incassa. Tempo che pochi raccomanda, tempo che troppi condanna.
Non resta allora che il tempo della strada, l'unico che sai contare e sei già arrivato non importa dove. Ma prima o poi, e tempo permettendo, ti ritroverai di nuovo a casa.
Ma non chiedere a me dove si trova casa, che ti saprei soltanto dire che quella mia si trova sempre altrove.
Ilaria Guccione, Al Comandante Barbato (Palermo, febbraio 2014)
APRILE 1945. Ecco la guerra è finita. Si è fatto silenzio sull'Europa. E sui mari intorno ricominciano di notte a navigare i lumi. Dal letto dove sono disteso posso finalmente guardare le stelle. Come siamo felici. A metà del pranzo la mamma si è messa improvvisamente a piangere per la gioia, nessuno era più capace di andare avanti a parlare. Che da stasera la gente ricominci a essere buona? Spari di gioia per le vie, finestre accese a sterminio, tutti sono diventati pazzi, ridono, si abbracciano, i più duri tipi dicono strane parole dimenticate. Felicità su tutto il mondo, e pace! Infatti quante cose orribili passate per sempre. Non udremo più misteriosi schianti nella notte che gelano il sangue e al rombo ansimante dei motori le case non saranno mai più così immobili e nere. Non arriveranno più piccoli biglietti colorati con sentenze fatali, non più al davanzale per ore, mesi, anni, aspettando lui che ritorni. Non più le Moire lanciate sul mondo a prendere uno qua uno là senza preavviso, e sentirle perennemente nell'aria, notte e dì, capricciose tiranne. Non più, non più, ecco tutto, Dio, come siamo felici. E non avremo più gli anni di ieri, non incespicheremo più per le scale col batticuore insorgente, non fisseremo più le altre facce, tacendo al fioco lume, tra gli stillicidi di salnitro, in attesa del colpo, ambigue parole di ufficiali in coperta non ci daranno più l'orgasmo, per tutta la restante vita non sirene, né detonazioni, né fughe, né notti insonni di paura. Addio dunque per sempre. Ricominciamo, o amici, a dormire senza soprassalti, a dire "domani", a dimenticare la morte. Ecco tutto. Ieri, ancora eravamo giovani, bene o male pronti alla sorte, da stasera non più. Buon riposo, pane bianco, ristoranti illuminati sul golfo, eccetera, dolci cose di un tempo andato, e sia pure!, ma una fossa nera ci separa, e qui abbiamo lasciato la vita. Giovani fino a ieri, da stasera vecchi e prudenti, e lo dovevamo sapere, ce lo potevamo aspettare, idioti che non siamo altro. Che felicità, vero? Ma perché queste facce? Perché non ridete dunque? Fate il vostro dovere.
Dino Buzzati, da: In quel preciso momento, ed. Mondadori, 1963.
(Il testo del brano circola qua e là sul web con le frasi spezzate in apparenza di poesia intitolata 25 aprile 1945. Nella "poesia", la Felicità su tutto il mondo è pace! e ci si arresta a:come siamo felici.)
Ilaria Guccione, Piedi d'artista (Roma, novembre 2014)
Le parole buone per il commiato, quando le cerchi ti sorprendi in perdita di fiato.
Passiamo attenti tra spazi infiniti fatti di niente chè a niente serve computare conforti sghembi sul dolore.
Se si può dire niente quest'ingombro
di pena e d'inverno che ci appanna il cuore.
Come un Orfeo che non sa più intonare colore e presente.
Voltarsi all'improvviso e sul viso inciampare in uno strazio trasparente.
E ritrovarti sempre lì che non puoi fare un passo, dirsi ogni volta che è meglio andar via, magari un altro giorno sarò forte e poi ripasso.
E intanto è già la giravolta del ricordo, quell'accostarsi che non è mai abbastanza per districarsi dal groviglio muto dell'assenza.
Ombra della mia ombra, lasciami andare, me lo ripeto sottovoce e non mi so ascoltare.
Ilaria Guccione, La gamba mi basciò questa demente (Palermo, gennaio 2016)
You must remember this, a kiss is still a kiss…
Certo che per la tua idiota bocca di rossetto rossa potresti
scegliere un bersaglio più consono, potresti ad esempio consumarla su un’altra
bocca mentre un tram che si chiama Genio (proprio come la statua che hai imbrattato) ti porta verso il centro commerciale dove potrai fare
scorta di rossetti per poi ricominciare.
Dice che qui avanziamo verso un grandioso futuro e sempre viva Palermo e santa Rosalia.
A me sembra che, a furia di sputare sul passato, di dimenticarlo, di lasciarlo crollare per costruirci meglio sopra e sotto, di chiudere un occhio per aprire un cantiere, noi si incespichi in un presente di merda.