Ilaria Guccione, Le bonheur se raconte mal (Palermo, 2013) |
Tourbillon: il senso del girare vorticoso, di vento e d’aria e d’ogni cosa che ti si muove rapida dentro e intorno e genera tumulto nella vita.
1956. François l’aveva scovato fra tanti libri d’occasione ed era stato un coup de foudre già dal quel suo titolo che aveva trovato così musicale: Jules et Jim. E lui, critico cinematografico che sognava di fare il regista, aveva subito desiderato farne un film e intanto leggeva il romanzo due volte l’anno e intanto pensava con tristezza che quella storia non fosse proprio possibile portarla sul grande schermo. Fino a quando quel suo sogno di far film non si avverò e lui si convinse del contrario.
1961. On va chanter, disse Truffaut in quella giornata di riprese mancate, l’incidente occorso ad un operatore e poi i soldi che stavano finendo. On va chanter, Jeanne, come quando noi si gira cantando a squarciagola a bordo della Facel Véga decappottabile.
E così Catherine/Jeanne Moreau canta Le tourbillon de la vie, accompagnata alla chitarra dall’amante Albert/Serge Rezvani.
On s'est connus, on s'est reconnus,
On s'est perdus d’vue, on s'est r'perdus d'vue
On s'est retrouvés, on s'est réchauffés,
Puis on s'est séparés.
On s'est perdus d’vue, on s'est r'perdus d'vue
On s'est retrouvés, on s'est réchauffés,
Puis on s'est séparés.
L’autore del libro, Henri-Pierre Roché, era rimasto entusiasta all’idea del film ma non aveva fatto in tempo a vederlo né a vedere tradotta in più lingue quella parte della sua vita che aveva scelto di raccontare ormai settantenne, la storia della sua amicizia con lo scrittore tedesco Franz Hessel/Jules e della sua relazione con la moglie dell'amico, Helen Grund Hessel/Kathe.
Truffaut racconta che la scelta di non rendere eccessivamente drammatiche alcune scene fu per lui un modo di rispettare Roché che le aveva rivissute a distanza di anni. Il film, come il libro (pubblicato nel '53), doveva essere un album di ricordi.
E dice della sua soddisfazione per avere fatto riscoprire, col suo film, un capolavoro sconosciuto, ché spesso nel mondo del cinema ci si presta a un gioco immorale, quello di appropriarsi di un libro molto noto e magari vien fuori anche un bel film ma intanto ci si approfitta della fama del romanzo.
La canzone, dicevamo. Una canzone che non è nata per il film ma che allo stesso modo dice d'amicizia e d’amore. Rezvani l’aveva composta sette anni prima raccontando la storia d'amore del suo migliore amico Jean-Louis Richard con la Moreau, che si era conclusa con un divorzio nel 1951.
Si tratta dell’unica parte del film in cui il suono è in presa diretta e il regista ha scelto di inserire quella versione che nella sua spontaneità non poteva che risultare perfetta: quella in cui Jeanne si confonde e inverte due versi:
On s'est retrouvés, on s'est séparés,
Puis on s'est réchauffés.
Puis on s'est réchauffés.
Désolé, Serge! Suggerisce quel suo gioco di mani accompagnato da un sorriso, mentre continua a cantare.
E lui che sembra risponderle a sorrisi e con quel gesto del capo: peu importe, Jeanne. C’èst (le tourbillon de) la vie!
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