Spider-Boy

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martedì 23 dicembre 2014

23 dicembre 1978. Maledetto sia il Natale


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Ilaria Guccione, Puntare in alto (Cinisi, novembre 2014)
2014
Roma Fiumicino. Arrivo con il collo malandato ed il treno sbagliato, quello che la metro C te la sei persa al primo incontro, che ai tuoi tempi mica c'era, e scendi e sali e scendi ed il binario vince sempre sulla fretta e  quindi anche il treno buono t’è saltato e, se ti perdi due minuti ancora, il cuore te lo ritrovi che ti salta in gola e poi te lo perquisiscono e a dare confidenza sulla vita tua agli sbirri non ci tieni proprio.
Ma loro puntano in basso, si tolga gli stivali. E perché a Palermo non me li hanno fatti togliere? Maledetta te che zitta non ci stai e ti sei giocata mezzo minuto. E tu che passi e suoni ancora e li senti parlottare che a Palermo e poi a Palermo ma sai a Palermo che. Ma non hai il tempo di capire, ché hai da recuperare uno stivale che si è perso mentre bestemmi sui calzini e magari hai un’arma letale nei piedi e non lo sai e allora è meglio non dire. Ché tanto del tuo risuonare se ne stanno fottendo.
1974
Palermo Punta Raisi. La bambina piange. Le hanno preso Michela, riccioli neri e vestito grazioso di lana arancione, di quelle che se le abbracci non ti ricambiano però sanno parlare. E chissà che avrà sussurrato mentre passava in quel buco nero. Mamma, avrà detto. Mamma è l’unica cosa che sa dire. La bambina piange. Poi si arriva a Roma che la sua bambola non gliela puoi più togliere e la vacanza e il lago e non ci si pensa più ma io me lo ricordo ancora.
1978.
L’aeroporto di Punta Raisi era appena maggiorenne, nato al momento giusto nel posto sbagliato.
Erano anni di arrivi e partenze segnati a gesso e lavagna.
Si partì, la notte del 22 dicembre da Roma Fiumicino. Tempo di vacanze, di famiglia da abbracciare, di regali da scartare, concessione di licenze, esami universitari nella tasca buona della giacca allegra dei vent’anni. Tempo che non è più tempo di arrivare, rimane solo il tempo ingiusto di affondare. Si arrivò a Punta Raisi che s'era in 129 il 23, il mare se ne prese 108, compreso quel neonato che c’è ancora chi lo sente piangere nel ricordo di sedie volate e vite violate e aria che manca e nero che affoga e avanza.
C’era quella carcassa di aereo, ricordo mio di ragazzina, che la vedevo passando da Villabate.
C’è che dicono che l’aeroporto adesso ha un altro nome, quello che sa di medaglia falsa alla memoria, quello di chi si trovò nel posto giusto al momento sbagliato, quello di chi in vita non ha mai chiesto gloria e ormai è crepato.


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