Ilaria Guccione, Ognuno guarda dove sa (Palermo, dicembre 2014) |
Lui che mi suonava la sua malinconia a tempo di gettone.
Ed io che lui se n’è andato che ormai son tante vite e in questa mia che a stento m’è rimasta me lo ricanto a forza di melodie sbiadite e nera nostalgia.
Giorno che dopo giorno te lo fan vivere d’affanno.
C’è chi il futuro se lo spera rimanendo fermo e non si sa svelare più nessun inganno, quello che gli riserva l’aspettare senza agire che è molto più che un po’ morire.
E c’è chi accende a sere alterne fiaccole e manifestazioni e si urla in rivolta. E culo fisso e sguardo fesso ma per cambiar qualcosa non muoverà mai un passo.
Ed io ad ingoiare asfalto e strazio in questa città che scomoda mi sento eppur mi ignora e m'ospita il lamento.
Ed io a fottermi di malinconia e singhiozzar memoria e la salvezza dicono che sia prendersi sempre il proprio niente in culo ed andar via.
Venne giù l’iradiddio. Apoteosi d’acqua per una madonna fatta di culto tanto e argento poco, la chiesa sollevò sottane per non lavarsi nelle pozzanghere il peccato.
Io m’inzuppai di sdegno e di malinconia. Io mi trattenni a stento dall'urlare che non siamo tutti parenti nel nome di un buon dio ed andai via.
Senza che per nessuno arrivi assoluzione o ci sia tempo di preghiera.
Alzi lo sguardo a un cielo lacerato ed è subito sera.
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