Ilaria Guccione, Frange (Palermo, gennaio 2014) |
Nella stanza del cucito c’era un divano fiorito che mi faceva da letto e guai a tirar via il lenzuolo in notti accese da battaglia, ché quei fiori pungevano parecchio. E poi un grande armadio di quelli buoni per frugarci al buio, che qualche tesoro nascosto poteva sempre venir fuori o magari ci trovavi quel mostro che di notte ti tirava il lenzuolo e a quel punto ti mettevi al sicuro con tutti i giri di chiave possibili. E poi c’era il mio bagaglio di bambole, lo stretto necessario per sopravvivere in trasferta calabra e poi ancora quello della fantasia ma per quella, grazie a me, ho sempre avuto spazio bastevole. E ancora quella foto gigantesca che viva gli sposi e il sole che li baciava così tanto che oggi a riguardarla scolorita a casa dei miei mi appare fuori posto nella mia fu stanza di bambina e ragazzina. La finestra dava sull’enorme cortile, quello di tutti i giochi possibili quando ti davano il permesso di andarci. Anni e anni di arrampicate estive per guardar giù. C’era di giorno la Singer che mia nonna faceva andare, quel rumore che ci accompagnava regolare ed io che frugavo nel cesto e ottenevo pezzi di stoffa per portarmi avanti col corredo della Barbie o della Corinne, che a nominarla oggi fa parecchio vintage, che è come dire che ormai sono vintage pure io. E dai che il filo nell’ago lo infilavo sempre io e mi sentivo importante e prova a chiedermelo adesso che me lo chiedo da sola e incespico nella mia lieve presbiopia e non ti posso dire in quanta nostalgia.
C’erano i biscotti al mattino da affogare nel latte e la baffuta testimone di geova che ti portava il pollo ruspante e poi ti doveva far convinta che dalla torre di guardia avevano avvistato la fine del mondo e io che sbuffavo guardando mia nonna.
E poi mi feci alta abbastanza per abbracciare il cortile e per sedermi sul davanzale, e grande il giusto per raggiungere la via principale del paese e comprar libri e cartoline su cui baciare francobolli e per far vasche in villa comunale. Fino a quando non ammazzavano qualcuno e allora mi dicevano abbastanza piccola per non andar fuori da sola e io e il nonno ci tenevamo il broncio.
E cuci e scuci il tempo andato, rattoppati i ricordi, tira il filo e ricomincia come sai. Che di scampoli di memoria ne ho quanti ne vuoi. Filo filo del mio cuore avanza finché puoi.
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