Ilaria Guccione, Il sonno dei fusti (Palermo, gennaio 2014) |
Ma antichi e ricorrenti sono i naufragi, sono d’ogni epoca, d’ogni avventura, sogno, d’ogni frontiera elusa, noi naufraghi di una storia infranta, simboli di un epilogo, involontarie comparse, attoniti spettatori di questa metafisica.
Di cui non conosciamo i confini, dimenticammo l’inizio, ignoriamo la fine, ma riferiamo incauti il vario apparire nelle luci e nei tempi irriferibili.
(Vincenzo Consolo, da: Retablo)
Se bastasse pagare un corso di fotoritocco a fare una foto decente.
Se bastasse chiudere un occhio per proclamarsi leggeri e innocenti.
Se bastasse uno studio virtuale a consacrare in plausi il buon musicista.
Se bastasse pararsi il culo con quello degli altri per sentirsi puliti.
Se bastasse aumentarsi il tacco per ritrovarsi cresciuti.
Se bastasse truccare le carte per risultare vincenti.
Se bastasse chiudere gli occhi per potere dormire.
Se bastasse un buon correttore per diventare brillante scrittore.
Se bastasse sventolar bandiera per avanzar rivoluzione.
Se bastasse stringere i denti per sentirsi davvero resistenti.
Baby, è il mercato del senso becero riciclato, del prendi tutto e fallo in gran fretta e non guardare se è già scaduto, se puzza di merda e se è slabbrato e liso, se è la solita mediocre storia che va in centesima replica e nessuno che dica mai basta e tutti a farselo bastare questo abusato niente.
(Se bastasse accontentarsi per farsi contenti.)
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