Ilaria Guccione, Il tempo di riposarsi (Palermo, gennaio 2014) |
Sempre pronti a lustrarsi la faccia, farsi belli a parole degli altri. Ché son sempre convinti gli basti un incanto da fotoritocco e frasi e virgolette in omissione per ricalcarsi ad effetto su metafore buone e dichiararsi originali.
Fino a quando non s’apre una crepa nel buonsenso del mondo, che gli fa sfigurare il prospetto. Fino a quando non si va di sassate a demolirgli profilo e cazzate.
Piove son ore su ore che piove lento e fitto sulle mie parole nuove, sui miei pensieri vecchi, sul mio solito giocarmi quest'unica vita che ho a risalir di specchi, sul mio piede che accelera e slitta tra ogni polemica acquerugiola. Non possiedo più favola bella che si possa bagnare, ho soltanto l’eco dei miei passi maldestri e su quelli ci so camminare.
Sarà meglio tacere come quando s’affaccia il ricordo dall’occhio socchiuso, come quando t’ammazza il pensare che il tempo passato, lui soltanto non t’abbia scordato. Come quando, a cercar di far strada a ritroso, ti ritrovi stentando il sorriso in un luogo che ancora ti sa e rassomiglia.
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