Ilaria Guccione, Sappiamo solo crollarci addosso (Palermo, febbraio 2014) |
Che t’accusa di averlo perso e tu pensavi di averlo battuto, che t’incolpa d’averlo ammazzato e tu ancora convinto che l’hai trattenuto.
Tempo che se ne va senza concederti un saluto. Tempo che hai chiuso gli occhi il tempo necessario per ricordarlo meglio, che vorresti dirgli almeno qualcosa e invece sai solo restar muto.
Gira e rigira, il gatto. Rosso di pelo che sembra uscito dall’ultimo film dei fratelli Coen, bello e pasciuto che sa di casa, lesto di zampa gira e rigira per la piazza deserta di parole sensate. Dribbla veloce tra le macerie e, dopo una passerella elegante sul muro, si tuffa in quel mistero di rifiuti che pareti ancora in piedi lasciano solo intuire e poi te lo ritrovi tra le gambe. Come a dire au revoir a voi che ve la smarrite la via di casa dopo due passi lenti in fila, che la paura vi falla la memoria, che l'arroganza vi fa calpestare ogni storia, io sì che la so la strada per tornare.
Sappiamo solo crollarci addosso. Che così si piange meglio, che così si ha sempre pronto un motivo di lamento. Che così si vive meglio, che così ci si può spolpare fino all'osso. Che così ci si fa viziare dal più comodo punto di vista e rimanendo immobili ci si lascia andare.
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