Ilaria Guccione, Il muro di Palermo (Palermo, febbraio 2014) |
Pezzi su pezzi, pezzi di pezzi intorno. Solo pezzi rotti dentro.
Raccogliere tutti i pezzi per aggiustarsi. Avere colla buona che odora
di pazienza e tempo. E dita che sanno coincidere e coincidenze che ci
toccano. E aspettarsi che poi manchi ugualmente qualcosa, ché il lieto
fine è gioco da film e ci si aggiusta solo al peggio.
Sappiamo solo crollarci addosso. Che così si vive meglio, che così ci si può spolpare fino all'osso.
A
piazza Garraffello questo pomeriggio sembrava di essere sul set di un
film. No, non è Wim Wenders che è ritornato in Vucciria, che solo chi
vive qui può capire come abbia fotografato la nostra realtà, è che la
realtà sa sempre farsi grande in fantasia.
E
allora per un attimo quasi ti dimentichi che il 5 febbraio alle 21.43 un
boato ti ha invaso la casa, che una palazzina a due passi da te è
crollata. Ché era stanca di viver di stenti in una piazza trascurata,
non ne voleva più sapere di spazzatura elevata ad arte e di bordello
notturno che te lo chiamano movida a lasciarle ogni notte altra spazzatura sotto il prospetto, non voleva essere cool, voleva stare in pace.
Va
a finire che le cose si ribellano meglio e più delle persone. Va a
finire che è meglio il suicidio di mura e tetti che l’aspettar aiuto e
salvezza dagli uomini. Cronaca di un crollo annunciato e finalmente il
silenzio tanto agognato. La casa vibrerà soltanto nel ricordo, mai più
per quelle aggressioni da troppi watt che continueranno a fregarmi il
sonno, ché si era offesa di quel suo stare in attesa, di aspettare un
impossibile meglio. Che si sa come va, è meglio un crollo di un "il tuo
star male io m'accollo".
Dice che stanno
murando la piazza e allora non posso non andare a spalancarci gli occhi
mentre mi chiedo se io mi ritroverò a Vucciria Est o Vucciria Ovest.
L’operazione muro, che in concreto vuol dire elevare mura per bloccare
cinque accessi, è stata interrotta in fase 3 ad altezza che perfino io
posso scavalcare perché i gestori dei malmessi pub si sono insediati
nella piazza. Ché quelli non l’hanno ancora capito che non è il caso di
far feste e festini questo fine settimana. Di fare rumore, di spargere fumo. Di fare rumore, di annusar polvere. Che loro dice che si
guadagnano onestamente da vivere, me lo ribadisce un ragazzino che ci
tiene a dire che lui è l’unico incensurato e gli scappa un sorriso
storto d'orgoglio e mica si gioca la fedina penale per far resistenza.
Mentre una ragazzetta ben vestitina e truccatina fa finta di niente e solo ad alterco finito tra me e lui ci dice che va a scrivere l'articolo. E me lo potevi dire prima perché ci davi le spalle, che ti dicevo anche che penso dei giornalisti.
Ho
visto gente nata e cresciuta qui piangere con un occhio davanti alla
rovina, e con l’altro sorridere all'idea di un bel parcheggio costruito
al posto dei palazzi della piazza.
Ho visto
poliziotti rigidi nella divisa passeggiare sorridenti e snodati giocando
alla messa in posa con le macerie sullo sfondo e uno di loro, accento
meridionale ma meno di quello che mi appartiene per nascita, dirmi che sì,
stiamo qui un altro po’ ma poi ce ne andiamo.
Ho sussurrato a quel che resta e dai urla qualcosa, di' la tua adesso, non aspettare ancora, crolla finché puoi ma fallo ora.
Nel
silenzio, nel gioco, nell'inesistente battagliare. Ho sentito il mio
amore profondo fare a pugni col mondo. Son tornata a casa pensando a
quelle tre galline spennacchiate da spavento che se ne infischiavano di
tutta quella ridicola gente e continuavano a becchettare frammenti di tufo e
cemento.
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