Ilaria Guccione, Il passìo (Palermo, 2012) |
La donna di mezza età è ferma da un’ora sulla panchina
di marmo che ospita indifferente la sua aria triste, le passa davanti una
ragazza che sorride ad un pensiero fisso riflesso in una vetrina da occasioni mancate.
Un bambino si nasconde il viso, aspettando che qualcuno si ricordi di venirlo a
prendere. Finito lo spettacolo, il ragazzo si trascina gradino per
gradino lasciandoci su frammenti di frasi scadute perché possano servire ad altri. In tanti procedono con passo
spedito e acquisti che diranno indispensabili tra le mani, altri ancora strisciano stanchi con un ombrello
per compagno, anche se sono giornate da finto inverno, da gioco a nascondino della pioggia.
E tutti questi nuovi attributi iconografici che mi ritrovo a due
passi dagli occhi, come se il tempo della
strada vi diventasse sempre tempo per altro, come se vi fosse indispensabile
far tante troppe cose contemporaneamente per risparmiare tempo che poi siete bravissimi a buttarvelo via ripetendo altrove gli stessi rituali.
E tutte quelle frasi e quelle parole e i toni
accesi e le risate. E luci buone e luci cattive, di strada in strada, da un
viceré spagnolo a un re piemontese fino alla via di casa.
E io, io che guardo e ascolto, continuando a chiedermi cos'altro si fermi, oltre ai vostri passi, in questo
mio guardare e in cosa ci si incontri e in cosa ci si lasci andare. Quale sia il peso delle storie che raccolgo per
strada e che mi porto dietro e dentro per un tempo che non sono in grado di
misurare.
"Progetti per il futuro: non sottovalutare
le conseguenze dell'amore", così dice il film.
"Né l'amore per le conseguenze", ha aggiunto un giorno un amico. Quell'amore lì che mi
porto dietro tra l'andata e il ritorno, quello che me lo pago sempre e comunque e mai a rate. Tra una foto sfocata e una frase urlata.
Tra l'eccesso di pensieri e il gatto che mi dorme in grembo. Tra un "lascia stare il
passato e scegli la soluzione più facile" e un "guai a te se me lo tocchi, ché allora di me non hai capito un cazzo". Cammino su ogni filo possibile, sequor et
consequor, e quando perdo l'equilibrio vengo giù. Tra ogni possibile malinconia e
un sorriso storto.
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