“Parola d’attesa, forse silenziosa,
ma che non lascia in disparte il silenzio e il dire e che fa del silenzio già
un dire, che dice nel silenzio già il dire che è il silenzio. Giacché il
silenzio mortale non tace."
(Da: L'écriture du désastre, Maurice Blanchot)
(Da: L'écriture du désastre, Maurice Blanchot)
Facciamo così noi. Immobili ci
rincorriamo le attese fingendo sia sempre un giorno straniero che aspetta un’identica
sera. E allora ogni tanto ci provo, mi costringo, mi fermo e conto. Fino a dieci. E poi comincio a camminare per la piazza e conto ancora. Fino a. Il tempo dell'attesa, di quella che mi concedo di giornata in giornata.
E intorno sempre tutto questo rumore accelerato fatto di venditori a buon mercato tra piante e magliette da tifo ed incontri da tazze di caffé sui tavolini di vetro e da quanto tempo non ci si vede, ma uno sconto non me lo fai, che neanche mi sento i miei passi e mi perdo di pazienza.
Mi avanza ogni volta un silenzio in attesa di una parola. Che avrà sbagliato indirizzo, smarrito il mittente, sostituito la distanza con l'assenza. Giro di nuovo per la piazza, per un saluto a chissà chi o per confondermi un ancora presto con un troppo tardi, per continuare ad avere qualcosa da dirmi.
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