Ilaria Guccione, Il paese del sorriso. 1 (Palermo, 2013) |
Il paese del sorriso, titolo da operetta. Di Franz Lehàr. Roba che ci si andava di sera quand'ero piccola alla stagione estiva del teatro Massimo, a Palermo. Roba da lieto fine, che ne mettevano in scena almeno un paio e ti ripagavano di tutti quegli amori tragici invernali, di quelle donne tisiche e di pugnalate e di cantanti che si buttavano da castel sant'Angelo. Perché forse in estate tutto quello che non finisce bene si pensa che porti solo male.
Roba che molti anni dopo ci si spostava dal quartiere romano di Talenti, il grosso della compagnia a casa mia e si arrivava a san Sebastiano e dopo l'ennesimo lieto fine si riaffrontava il viaggio, un po' di Sicilia e di Emilia e Veneto e Toscana, a perdersi di notte in notte la strada di casa.
Il paese del sorriso, dicevo. Ma sì, che anche se non ti piace l'operetta, Tu che m'hai preso il cuor la sai pure tu. Roba da sottofondo pubblicitario per la pasta De Cecco, roba degli anni '80, come l'ouverture de La gazza ladra di Rossini per il grana padano. Oppure l'hai ascoltata in duetto tra la Pausini e un Pavarotti ormai avariato, peggio per te.
Il paese del sorriso, dicevo. Tra Vienna e Pechino si canta e ci si ama. Eppure, stranamente, in quest'operetta qui se ne tornano tutti a casa e l'amore non trionfa, salvo scegliere di rappresentare la variante del finale. E allora dice che l'unico sorriso che rimane è quello della Cina, che poi che ci avranno da sorridere i cinesi non lo so. Insomma, di' addio con un sorriso sulle labbra e poi crepa pure di malinconia.
E a noi, che non ci siamo mossi di un passo, non rimane che farci strangolare da tutti quei sorrisi ipocriti da sagra di paese che, anche se non accendi la tv, te li ritrovi per strada. Nessuno che riesca mai a rubarti il cuore e regalarti qualcosa, al massimo ti si capovolge lo stomaco e ogni volta manca così poco all'ora di cena. Questo nostro non è paese da sorriso ma da bicarbonato.
E a noi, che non ci siamo mossi di un passo, non rimane che farci strangolare da tutti quei sorrisi ipocriti da sagra di paese che, anche se non accendi la tv, te li ritrovi per strada. Nessuno che riesca mai a rubarti il cuore e regalarti qualcosa, al massimo ti si capovolge lo stomaco e ogni volta manca così poco all'ora di cena. Questo nostro non è paese da sorriso ma da bicarbonato.
Ilaria Guccione, Il paese del sorriso. 2 (Palermo, 2013) |
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