La bella ragazza gli propone di offrirle da bere.
La bella ragazza è una puttana. Lui è un filosofo che ha superato la
sessantina. Lei si siede accanto a lui, lui le parla di Dumas. Parla per parlare e
parla del parlare.*
E non si potrebbe invece smettere di parlare, non
sarebbe meglio. Che alle volte le parole giuste non te le trovi da nessuna
parte e allora magari è meglio il silenzio, vivere in un assoluto rassicurante
silenzio. Perché, se le parole non le trovi, vuol dire che loro non fanno altro
che giocare a nascondino tra la testa e la lingua e tradirti. Dice lei.
E guarda che anche noi le tradiamo, le parole.
Bisognerebbe riuscire a dire quello che c'è da dire e che siamo così bravi a
scrivere. Il problema è trovare le parole giuste, quelle che non feriscono,
quelle che non uccidono, quelle che riescono ad essere vere, che quel che dici ti coincide con quel che pensi, che è parola muta. E mentre le
cerchiamo, oscilliamo. E mentre le scegliamo, sbandiamo. E mentre le
escludiamo, a volte finiamo col mentire senza volere ingannare. Bisognerebbe
anche essere allenati ad usare la testa, sennò si fa la fine di Porthos che
l'unica volta che si è fermato a pensare non se l'è potuta godere perché ci ha
lasciato la pelle.
Parlare in un certo senso è mortale. Perché è
come rinascere, come se non facessimo altro che passare dalla morte di una non
vita fatta di silenzio a una nuova vita ricolma di parole. Dice lui.
Parlare è accettare il rischio.
E allora le parole. Usarle, tirar fuori proprio
quelle. Quelle che sai, quelle che so. Quelle che se non lo fai ci muori due
volte ad ogni silenzio o ad ogni sillaba soffocata con cura dal peso delle prime tre che tieni in serbo sul letto per cautela.
Per parlare bisogna usare parole.
Per comunicare bisogna sapere e volere usarle. Dico io.
* La puttana è Nana/Karina, il filosofo è Brice
Parain. Il film è Vivre sa vie,
di J.L Godard, 1962. Il dialogo tra i due avviene nella parte finale dell'undicesimo quadro ("Nana fa della filosofia senza saperlo").
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