Spider-Boy

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giovedì 17 luglio 2014

Luglio, Palermo che ti sfoglio


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Ilaria Guccione, Luglio (Palermo, luglio 2014)

Sono giorni che in fondo qui non ci si lamenta di niente. Il caldo è sopportabile, di morti eccellenti non ce n’è. Il fetore della munnizza ci solletica l’olfatto in punta di sacco. Accatastiamo malcontenti per rimanere fermi. Sono anni che qui ci si lamenta il giusto, quello che ci concede smorfia e voce alterata seduti al bar o in piedi sventolando una bandiera.
Sono giorni che inciampo. Nei festeggiamenti insulsi altisonanti, nei riti bacia la reliquia senza senso, nelle facce gonfie e tronfie delle istituzioni che a forza di botti e luci e avemaria cercano il consenso. Nelle mie storie di un eterno ieri che si aggrovigliano per farmi meglio dispetto e compagnia. E allora le parole mi fallano e annego in quelle degli altri. Affondo nei gesti e negli occhi, le voci le tralascio, scatto e allungo il passo e trattengo il fiato.
Palermo è fetida, infetta. In questo luglio fervido, esala odore dolciastro di sangue e gelsomino, odore pungente di creolina e olio fritto. Ristagna sulla città, come un’enorme nuvola compatta, il fumo dei rifiuti che bruciano sopra Bellolampo. *
Inciampo anche in Consolo e in una parziale autocitazione di queste frasi, rileggendo dopo più di dieci anni Lo spasimo di Palermo, a pronunciarla è un giudice, baffi e sigaretta perennemente accesa, che lo aspettava un cattivo finale e lo sapeva bene da tempo.
Il libro torna sullo scaffale lasciandomi le stesse sensazioni della prima lettura, che quelle parti sul Judex** in carne e ossa e brace siano forzate.
Palermo è fetida, infetta. Sono parole che Consolo aveva scritto ne Le pietre di Pantalica, pubblicato nel 1988 ma è il 14 luglio del 1982 quello che lo scrittore racconta nel suo vagare per Palermo il giorno del festino della santa improbabile, quello del delirio da mondiali, quello in cui il prefetto, faccia di carabiniere, piemontese tutto d’un pezzo chissà che avrà pensato a trovarsi ficcato in questa sfaldata, disfatta parata di baroccume isolano. Sicuramente da settembre di tempo per pensarci non ne ha avuto più.
Tra una via misera e una ricca e una camicia di seta in vendita per un politico o un mafioso non è cambiato poi molto. Qualche vecchio negozio ormai chiuso, del sangue in più qua e là versato, quell’orrido palazzo Quaroni buono per la gente dello sfarzo e per le casse della curia e cattivo per gli occhi, quelli miei di sicuro e sempre copiose lacrime di coccodrillo ad alternar colore e frasi per buona parte dell'anno.
Una lapide ci garantisce il paese, o un’ombra, un’impercettibile macchia di unto su una parete, su una pietra, su un tronco d’albero incenerito? Non resterà di noi neanche una vuota, dorata carcassa, come quella della cicala scoppiata nella luce d’agosto. Non resterà compagna, figlio o amico; ricordo, memoria; libro, parola.

* Vincenzo Consolo, da: Le pietre di Pantalica, nell’omonimo racconto, come le altre citazioni.
** La serie diretta da Louis Feuillade (1914) che è per Gioacchino Martinez/Consolo ne Lo Spasimo di Palermo un legame col passato che si riallaccia col presente, con la fine di un sogno bambino e con quella del giudice Borsellino.


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