Spider-Boy

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venerdì 29 maggio 2015

Filastrocca del barone e della piazza



Ilaria Guccione, Testa o croce (Palermo, maggio 2015)

Il barone è barone al di là della nazione
Il barone è barone al di là di professione
E l’eccesso di stipendio ben si presta al vilipendio
Centodiciottomilequattrocenteppassa che ha l'ordinario all’anno 
A noi italiani ci fa, io credo, danno
A noi che mischini sopravviviam d’affanno
E voi insegnanti a giocarvi ancor d’inganno
A credere che un giorno soltanto girandovi intorno
A star nella piazza con l’abito nero, con l’abito rosso
A lor gran signori scaviate un gran fosso
A creder che certo scattandovi foto ridenti
Allor gli verrà di sentirsi dolenti
A voi che un sol giorno vi basta e v’avanza
Che poi son soldi mancanti e vi duole la panza
Come se ad ottener giustizia fosse sufficiente
L'alzare un po' la voce e la bandiera e d'altro non fare un bel niente
Poi ti lamenti ma che ti lamenti
‘Un pigghi mai bastuni e t'ammucci li denti
Così ogni giorno si replica inutile e uguale
In quella gran munnizza universale che dicono abbia nome capitale.



lunedì 18 maggio 2015

Agonie

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Ilaria Guccione, Quei posti davanti al mare (Palermo, maggio 2015)


Tra l’albergo e il mare era lieve la distanza. Un suonatore di organetto, speranzoso di moneta, regalava all’aria salmastra Tu a che a Dio spiegasti l’ali. Agonizzava, il principe. Contandosi gli anni passati e scorporandone appena due o tre di felicità, ché tutto il resto se n’era andato in noia e dolore e feste da ballare e rosari da sgranare.
Agonizzava intanto lo scrittore nel letto di una clinica romana, sperando la propria morte in quella sua città in cui da vivo non sarebbe più riuscito a tornare. *
Agonizza (anc)ora la sua città. Perde memoria, la vende al primo offerente che passa per la via, per qualche chilo di patate fritte che odorano d’Olanda sulla carta, per il primo festivàl che qualcuno compra e qualcun altro ci vende, per siculi bistrot che il palermitano verace non sa neanche come minchia pronunciare, per mutande e calze che i buchi ci si fanno sempre a buon mercato, per una mobilità dolce in una terra pesante che pare promessa di cannoli per la via ma è solo roba di piccioli che tu il ciavuru non lo senti neanche, accontentati delle patate, ché qui si vende aria fritta a tinchitè e, se non ti bastasse, ci sono pure colline di munnizza e quelle son sempre aggratis et foetore Dei.
Ha agonizzato forse l'uomo nella sera, che il cuore l’ha lasciato nella piazza dei signori e il suo tempo l'ha fatto senza fare in tempo o la ragazza nel mattino di pioggia, che il suo passo l'ha tranciato l'altrui furia sull'asfalto.
Agonizzo io nei miei giorni stentati, zoppicando malinconie stonate, canticchiando a volte quell’aria quando percorro l'artefatta lontananza che ormai c'è tra albergo e mare, maledetta guerra che ci hai regalato troppi morti e troppa terra. **

* Il romanzo, lo scrittore, ma che te lo dico a fare? Vabbè te lo dico uguale:
Nella strada di sotto, fra l'albergo e il mare, un organetto si fermò, e suonava nell'avida speranza di commuovere i forestieri che in quella stazione non c'erano. Macinava Tu che a Dio spiegasti l'ali. (...) "Ho settantatré anni, all'ingrosso ne avrò vissuto, veramente vissuto, un totale di due... tre al massimo." E i dolori, la noia, quanti erano stati? Inutile sforzarsi a contare: tutto il resto: settant'anni. (Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo)

** Palermo è una città di mare il cui mare è una forma assente. Durante la seconda guerra mondiale, nella passeggiata a mare, nota come Foro Italico (già Foro Borbonico) la distanza tra la terraferma e il mare aumentò perché lì furono riversate le macerie di edifici devastati dai bombardamenti.