Spider-Boy

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venerdì 25 ottobre 2013

Ortigia-Palermo: appena in tempo per dirti addio


PescatoreGatti
Ilaria Guccione, The cats will know (Palermo, novembre 2012)


Ora è nel cuore di un mondo di calcare, di tufo color miele, nella chiarità orientale, il rigore e la grazia, la retta e la spirale, è al centro d’Ortigia, nell’area sacra, nello spazio a forma d’occhio, nella pupilla della ninfa, nella piazza dove regna la signora della luce e della vista.
(Vincenzo Consolo, da: L’olivo e l’olivastro

A volte veleggia un ricordo remoto al quale non posso negare l’approdo.
Arrivammo a Ortigia in dicembre, era il ‘95, ci riempimmo gli occhi di antica bellezza più che le orecchie delle altrui parole da seminari. Ne serbo memoria di pietra in alcuni scatti, in cupole prossime al crollo e noi allora ignari, in colonne ad abbracciarsi in groviglio di fogli di vite e grappoli d’uva.
L'ultima volta che lo vidi era in ospedale o forse mi confondo, ché l’inizio dell’estate l’avevamo passato insieme, a ripetere letteratura italiana per i suoi esami di maturità. Il viaggio per l'ospedale era ogni volta di un duolo infinito, un malinconico pellegrinaggio su un autobus sbilenco e poi l'attesa. Dice che erano camere sterili, che loro erano infinitamente fragili eppure vedevo tutto così sporco e squallido e avrei voluto solo portarlo via da quel presente ingiusto e inatteso. Un giorno ci arrivai per donargli le piastrine e, tra un sussulto e l’altro delle vene, reggevo i carmi di Catullo da studiare per un esame.
Il primo risveglio a Ortigia mi regalò il senso del mare, spalancate le finestre di quella pensione di suore che a poca distanza si trasformavano in albergatrici di lusso ma a noi, che avevamo due lire e altre due avevamo uscito per il corso, ci toccava il convento. Mi torna ancora quella meraviglia degli occhi che non ho mai avuto qui: Palermo è città di mare in cui il mare non ti tocca.
Era domenica. Ci fermiamo ancora un giorno? No, io devo tornare, con quella mia ansia che avevo di rivederlo e la promessa fatta l'ultima volta, ché quel nostro incontrarci era ormai all’inverso: non più la sua voce al citofono la domenica mattina, gli abbracci infiniti nell’androne, la rosa rubata e portata in regalo né le canzoni e la chitarra che duravano il tempo dei gettoni, la sera.
E oltre a Ortigia ci portarono a Modica e Ragusa Ibla e Noto e non ricordo più dove e tutto quel barocco ad abbracciarci che noi non sapevamo. Ma poi in fondo allora sapevamo ben poco, il sapere degli occhi sui libri ma non quello dei passi. E quanto ho camminato poi, treppiedi in spalla e quanto ho spalancato gli occhi.
Arrivammo in ospedale che era troppo tardi, che era proprio il giorno della sua partenza senza più ritorno, chiesi di vederlo e l’infermiera, più gelida di un cadavere, rispose in tre parole che era deceduto, salvo poi ripiegare su una frase ambigua, ché si sa: i morti non dovrebbero andar via dall’ospedale, non hanno più gambe buone per andare, eppure. Ma il mio menestrello se n’era andato ed io ero tornata appena in tempo per dirgli addio.
A Ortigia mi ritrovai l’anno dopo, per una mostra a palazzo Bellomo e mi ritrovai davanti alla santa degli occhi, quella del pittore dannato in vita e poi tanto osannato e consumammo poi un pranzo in tre, abbandonando il primo ristorante con la scusa che noi si voleva la pasta al nero di seppia ma questa è un’altra storia. E poi nuovamente per un corso che era ormai il 2000, ospite a Siracusa da un amico, travolta da un esilarante girare che ci portò fino a Malta ed è un'altra storia ancora e non è detto che non sappia di sciancata nostalgia.
Mi consumai in una lunga veglia, mi chiesi il perché di quel vestito improbabile come se davanti alla morte bisognasse presentare l’abito buono mai messo in vita ma almeno le tue scarpe da tennis te le avevano lasciate. Mi rimasero petali di rosa e canzoni scritte una sera su dei fogli e una foto in cornice e un pezzo di carte con dei numeri per non scordare dove poterlo incontrare, tutta roba che ha fatto Palermo-Roma-Palermo. Mi chiesi a lungo perché tu fossi andato via così presto, perché hai lasciato me ad invecchiare e tu sei finito lì, in quel riposo che dicono eterno, in quel giaciglio che sta così in alto che puoi abbracciare il mare di Palermo.
 
 
 
 


















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