Spider-Boy

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domenica 12 maggio 2013

Luca Flores. L'altalena e la corda

Ilaria Guccione, How far can you fly? (Aspra, 2013)

La prima volta che lei lo vide, lui stava suonando. E quel motivo le si impigliò addosso, tra le pieghe del vestito e delle emozioni, insieme al ricordo delle sue dita sulla tastiera.
Ma tutto sembrò fermarsi, o almeno così ricordo la vertigine che si aprì nella mia testa, quando sentii l’accenno alle note di quel brano. “Angela”. Motivo dolcissimo e dolorante che presto avrei imparato a conoscere e amare. Poche note che erano già un rimpianto“Angela, Angelo, angelo mio. Io non credevo che questa sera. Sarebbe stato un addio. Angela io non sapevo”. Ogni strofa un lieve lamento. Mi aveva preso allo stomaco dalla prima volta che l’avevo sentito. Decine e decine di volte l’avrei poi riascoltato nascere dalle sue dita, che sempre sembravano girare intorno alla triste dolcezza del brano quasi ne fossero padrone e schiave allo stesso tempo. Scavando variazioni nella melodia. Sprofondando fin dove il dolore poteva arrivare. Tentando a volte improvvise impossibili fughe. Per ritornare a cullarsi nel rimpianto. Rassegnate alla propria catena.*
Lui una sera le disse: “Devo sempre avere paura di me stesso”.
Era come un’altalena il suo male, che ci si sente arrivare fino al cielo e anche oltre. Poi è come sentirsi lieve, quasi come essere pronti a toccare il suolo. Ma poi un’altra spinta lo portava via, violenta, inaspettata. E ci si ritrova catapultati dalla parte opposta. Non si può opporre resistenza al proprio inferno, su quest’altalena beffarda che va da sola e non lo sai quando il momento arriva e ti dici sempre: non lo sapevo. Non lo sapeva lui. Non lo sapeva lei.
Così gliel'avevano poi spiegato, quando lui se n’era già andato. Con un addio distorto dalla distanza, dal fuso orario tra America e Toscana, da cartoline recapitate in ritardo. Lei non aveva fatto in tempo a tornare. Lei era troppo lontana, perché era troppo stanca. Ma quello strappo l’aveva sentito. Non l’aveva visto, no. Non aveva fatto in tempo neanche per rivedere lui, no. Ma ancora le mancava il fiato. Di lui appeso a quella corda.
Il dramma è che tu non spingi. Il dramma è che tu non fermi. Il dramma è che tu non ci arrivi fin lassù. Avverti solo il peso. Dopo, il peso. Nel buio che non ti appartiene. Tu hai i piedi sul suolo, quel buio non lo vedi ma sì che lo senti. E non sai più su cosa poggi, no che non lo sai. Sapevi che l’abisso sarebbe tornato anche se non volevi. Ma tu non spingi. Tu non fermi. E ti risuona quella melodia nella testa. Come un frastuono. Come una condanna. How far can you fly?

Lui si chiamava Luca Flores ed era un pianista jazz. Nato a Palermo, segnato a vita dall'Africa dove sua madre era morta davanti ai suoi occhi di bambino, morto suicida a Montevarchi a 39 anni.

* La storia di Luca Flores e Michelle Bobko, sua compagna di vita e di musica, la trovi raccontata da Francesca de Carolis nel suo libro Angela, angelo, angelo mio, io non sapevo (Stampa Alternativa, 2007) da cui è tratta la citazione.

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