Spider-Boy

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lunedì 14 settembre 2015

Il santo, Marx e l'insegnante


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Ilaria Guccione, L'orgoglio di essere cane (Palermo, giugno 2015)

Li chiamavano il santo e Marx.
Uno era cattolicissimo, l'altro comunistissimo e tale e quale a Marx nell'aspetto. Insegnavano storia e filosofia nel liceo che ho frequentato, sottoponendo gli allievi a rigide orientate verifiche. Sintesi contro analisi, analisi contro sintesi. Kategorischer Imperativ: Panico, Memoria, Sudore, Affanno, Voto, Carreggiata.
Il mio non lo si chiamava in nessun modo. Essendo vicepreside, aveva solo un corso e sulla carta fu il nostro insegnante di storia per i primi due anni. Sulla carta, ché in cattedra non parlò mai di storia ma di storie. Ieri è successo che. E dal presente si arrivava al passato, con un monito costante: dovete imparare ad usare la vostra, di testa. Non la mia.
Nessuna Storia, nessun programma, nessuna interrogazione.
Nell'anno di mezzo ci arrivò come supplente di filosofia un altro docente del liceo che il nostro lo odiava a morte. Esordì dicendo che ci voleva tanto bene ma era difficile credere a uno con quella faccia che sembrava uscita da un horror di cattiva qualità. Di lui mi ricordo la fissazione per Hobbes, che lo pronunciava per come si scrive, e il clima di terrore del secondo quadrimestre col suo ululare homo homini lupus e che lui ci avrebbe bocciati tutti perché eravamo allievi di quel professore là e quindi tutti ignoranti e le deportazioni dei poveri interrogandi  -me compresa- nelle classi sue.
Nessuno fu bocciato: Canis qui plurimum latrat, perraro morde.
L'anno seguente, il terzo ovvero il quinto del classico, il nostro professore ci fece da insegnante e di storia e di filosofia.
Di storia e di filosofia da manuale non studiammo e non imparammo un cazzo.
Fu un anno dall'epilogo drammatico, agli esami di maturità ebbero il cattivo gusto di tirar fuori dal cilindro filosofia e matematica. Fu una corsa alle lezioni private per chi manco morto avrebbe presentato altro.
Cazzi loro, io preparai italiano e latino. Era l'estate del 1991.







sabato 5 settembre 2015

Quest'estate sa di fritto


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Ilaria Guccione, La patata bollente (Palermo, maggio 2015)

Quest'estate sa di fritto.
Sa di passo interrotto, di tanti io non ci sono ma tu batti pure un colpo.
Sa di finestra sul cortile ma è un remake girato male e mai nessun giallo che dal mio balcone si riesca a svelare.
Sa di musica che notte impazza e non voglio e musica che il giorno passa ma davvero sfiorarla non posso.
Sa delle solite inutili care cose, delle solite rovinose cadute sul selciato, dei vecchi sogni che sogno ancora e non ho mai realizzato.
Sa di quei due che me li porta per dispetto il vento di scirocco, quello che la mia gonna me la sa fare danzare in un sud fantasma, quando per strada ci incontri passi stranieri ed occhi spalancati verso la meraviglia di cupole arabe e lo schifo ingombrante del rifiuto inusitato.
Quei due che si regalarono un ballo lento, necessario e sghembo per potersi ritrovare e lui occhi lucidi e pena scontata, ché tanto poi sarebbe finita la canzone, avrebbe ritrovato la giusta via di casa, sarebbe stato bravo a ricordare appena qualche citazione.
Erano solo due marionette brave a trattenersi strette intorno al niente.
In fin dei sogni ci somigliamo tutti ma non ci conosciamo affatto.