Spider-Boy

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giovedì 25 dicembre 2014

Urla adesso che è silenzio

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Ilaria Guccione, Non abbiamo letto (Palermo, dicembre 2014)
SILENZIO
Mariano il 27 giugno 1916

Conosco una città
che ogni giorno s'empie di sole
e tutto è rapito in quel momento 


Me ne sono andato una sera

Nel cuore durava il limio
delle cicale


Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell'aria torbida
sospesi

(Giuseppe Ungaretti, da: Il Porto Sepolto)


Nella piazza del dì di festa solamente lo scrosciare dell'acqua e il guaito di un cane ad attraversare la sera.
Percorrendo un altrove vicino e irreale ho incontrato i miei passi leggeri e li ho lasciati andare.
Ho ascoltato fantasmi bambini all’ombra della prigione antica ridere piangere ridere e cantare.
Cuore mio che mi taci, urla adesso che è silenzio, canta adesso che ti sento.




martedì 23 dicembre 2014

23 dicembre 1978. Maledetto sia il Natale


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Ilaria Guccione, Puntare in alto (Cinisi, novembre 2014)
2014
Roma Fiumicino. Arrivo con il collo malandato ed il treno sbagliato, quello che la metro C te la sei persa al primo incontro, che ai tuoi tempi mica c'era, e scendi e sali e scendi ed il binario vince sempre sulla fretta e  quindi anche il treno buono t’è saltato e, se ti perdi due minuti ancora, il cuore te lo ritrovi che ti salta in gola e poi te lo perquisiscono e a dare confidenza sulla vita tua agli sbirri non ci tieni proprio.
Ma loro puntano in basso, si tolga gli stivali. E perché a Palermo non me li hanno fatti togliere? Maledetta te che zitta non ci stai e ti sei giocata mezzo minuto. E tu che passi e suoni ancora e li senti parlottare che a Palermo e poi a Palermo ma sai a Palermo che. Ma non hai il tempo di capire, ché hai da recuperare uno stivale che si è perso mentre bestemmi sui calzini e magari hai un’arma letale nei piedi e non lo sai e allora è meglio non dire. Ché tanto del tuo risuonare se ne stanno fottendo.
1974
Palermo Punta Raisi. La bambina piange. Le hanno preso Michela, riccioli neri e vestito grazioso di lana arancione, di quelle che se le abbracci non ti ricambiano però sanno parlare. E chissà che avrà sussurrato mentre passava in quel buco nero. Mamma, avrà detto. Mamma è l’unica cosa che sa dire. La bambina piange. Poi si arriva a Roma che la sua bambola non gliela puoi più togliere e la vacanza e il lago e non ci si pensa più ma io me lo ricordo ancora.
1978.
L’aeroporto di Punta Raisi era appena maggiorenne, nato al momento giusto nel posto sbagliato.
Erano anni di arrivi e partenze segnati a gesso e lavagna.
Si partì, la notte del 22 dicembre da Roma Fiumicino. Tempo di vacanze, di famiglia da abbracciare, di regali da scartare, concessione di licenze, esami universitari nella tasca buona della giacca allegra dei vent’anni. Tempo che non è più tempo di arrivare, rimane solo il tempo ingiusto di affondare. Si arrivò a Punta Raisi che s'era in 129 il 23, il mare se ne prese 108, compreso quel neonato che c’è ancora chi lo sente piangere nel ricordo di sedie volate e vite violate e aria che manca e nero che affoga e avanza.
C’era quella carcassa di aereo, ricordo mio di ragazzina, che la vedevo passando da Villabate.
C’è che dicono che l’aeroporto adesso ha un altro nome, quello che sa di medaglia falsa alla memoria, quello di chi si trovò nel posto giusto al momento sbagliato, quello di chi in vita non ha mai chiesto gloria e ormai è crepato.


martedì 16 dicembre 2014

Fotografare a memoria

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Ilaria Guccione, In stazione (Firenze, novembre 2014)

Sono notti che sogno di scattare una foto ma c’è sempre qualcuno che arriva e mi dice che sto sbagliando tempo e luogo. Ed io, che ogni volta rispondo che sto fotografando a memoria, mi trattengo pazienza e attendo. E poi mi sveglio e a notte nuova son sempre lì che sogno e ricomincio.
 
Sole che in questo dicembre siciliano i ricordi me li sa ancora ustionare.
Sola che sola ci sto sempre bene e sogno attese da stazione, quelle che prima o poi ti incontri e non importa dove.
Dove saran finite le parole che non gli abbiamo fatto strada ma a malapena il verso ed io che ancora mi ritrovo e tu che invece ti sei perso.
Verso che hai recitato all’incontrario, spezzandomi ogni rima immaginata, divaricandomi il sentiero ed il binario.
Ero che ti dirò che adesso quel che sono non lo so e quel che mi ricordo è quello che da sola ancora so che ho.
Sono che non mi posso misurare se non nella voglia che ancor trattengo nell'andare.
Forse non c’è ricordo a cui ti puoi impiccare ma non ci giurerei sul fatto di ritrovarne un paio che ti sappiano ancora far male.
Non appena misi piede in stazione mi avvolse l’eco di mille partenze che sapevano speranza e ritorni da perderci il conto. Ma il tempo, per ricordare chi fosse andato via e chi avesse avuto il coraggio di tornare, non ce l’avevo più. Quel tempo che qualcosa di sicuro ha esagerato, quel tempo che a furia di aspettarlo ormai mi ha abbandonato e io che avevo fatto  a botte per dire che l’avevo imbrogliato. Non avevo più nessuna giustificazione, se non quell’essere ancora nuovamente in stazione.
Non m’è restato che fotografare a memoria.
Il primo bacio che t’ho dato, l’ultimo abbraccio che ha lasciato. Segnali sull’asfalto che nessuno ha mai guardato. E’ il dramma dell’altrove, il buffo del traffico che lamenta distanza, il sogno della mente che cerca sempre vicinanza.
Io che mi son persa tra quadri antichi ed infinite scale e neanche gioco a poker.
Io che mi son cercata, come dire che non ho sbagliato vita e via eppure sono qui che non mi trovo se non nel ricordarmi il passo e il luogo.
Come un appuntamento promesso a distanza. Come un eccesso del cuore che ancora inciampa eppure danza.
Ho incontrato bambini in corsa lieta nella piazza, ombre di pranzi smezzati all’università, di gite fuoriporta e parole e parole e ore a legger libri e a giocarsi quel fiato sospeso a promettere futuro buono tra un'appendice e una nota.
E uomini in sonno urbano rabberciato a rammentarmi che il presente non sarà mai passato.


















sabato 13 dicembre 2014

Vi ho guardato scioperare la piazza


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Ilaria Guccione, Scioperanti (Palermo, dicembre 2014)

Prendila come viene, la musica che va in questa sera tiepida.
Con queste stonature che sanno nostalgia, con questo sfiatar lento che le domande se le perde per via. Con questo contarmi nella testa gli anni che sono persi ormai ma avanzo sempre di ricordo e non rimpiango mai.
Avevo una bella storia  da cantare e nella fretta l’ho scordata, ho masticato a fatica le parole e i ricordi li ho sputati a metà per ritrovarli in gola e saper ricominciare.
Dice che qui a Palermo abbiamo vinto la partita, roba che tirano ogni tanto il calcio buono e si fa.
Vi ho guardato scioperare la piazza a metà vuota, roba che all’ora di pranzo trovate ogni volta il passo buono per la pancia e si va.
Vi ho guardato danzare la piazza come fosse un giorno di festa e fingervi la rima con protesta.
Mi canto che deflagrazione s'accoppia con rivoluzione ma è melodia che dite esagitata perché al vostro lamentarvi misurato appare sempre esagerata.





martedì 9 dicembre 2014

Ed è subito sera


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Ilaria Guccione, Ognuno guarda dove sa (Palermo, dicembre 2014)

Lui che mi suonava la sua malinconia a tempo di gettone.
Ed io che lui se n’è andato che ormai son tante vite e in questa mia che a stento m’è rimasta me lo ricanto a forza di melodie sbiadite e nera nostalgia.
Giorno che dopo giorno te lo fan vivere d’affanno.
C’è chi il futuro se lo spera rimanendo fermo e non si sa svelare più nessun inganno, quello che gli riserva l’aspettare senza agire che è molto più che un po’ morire.
E c’è chi accende a sere alterne fiaccole e manifestazioni e si urla in rivolta. E culo fisso e sguardo fesso ma per cambiar qualcosa non muoverà mai un passo.
Ed io ad ingoiare asfalto e strazio in questa città che scomoda mi sento eppur mi ignora e m'ospita il lamento.
Ed io a fottermi di malinconia e singhiozzar memoria e la salvezza dicono che sia prendersi sempre il  proprio niente in culo ed andar via.
Venne giù l’iradiddio. Apoteosi d’acqua per una madonna fatta di culto tanto e argento poco, la chiesa sollevò sottane per non lavarsi nelle pozzanghere il peccato. 
Io m’inzuppai di sdegno e di malinconia. Io mi trattenni a stento dall'urlare che non siamo tutti parenti nel nome di un buon dio ed andai via.
Senza che per nessuno arrivi assoluzione o ci sia tempo di preghiera.
Alzi lo sguardo a un cielo lacerato ed è subito sera.