Spider-Boy

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venerdì 26 luglio 2013

Del tempo cattivo

Ilaria Guccione, Panellaro matto (Palermo, 2013)
Parlami del tempo cattivo, che quello buono lascia il tempo che trova e noi ce lo perdiamo sempre, tra l'essere attentamente distratti e il non volersi intendere.
Parlami delle tempeste di sassi, dei temporali fatti di parole e gesti, del malumore della tarda sera, della volontà che squassa. Aggiungici il sonno che stenta e singhiozza, gli squarci del pensare nella notte, le curve di ogni assenza, l'andare zoppicando ed il caderci ogni volta su quell'asfalto infranto da intenzioni a metà e piena indolenza.
Ma se sai dirmi solo del bel momento e mare quieto e gesti cauti e bere lento, taci o interloquisci altrove.







mercoledì 24 luglio 2013

Anamnesia


Ilaria Guccione, In bilico (Palermo, 2013)

Avanti il prossimo numero. Ché tutti numeri siamo, al supermercato come all'ospedale, l'uno sta in fila per un etto di prosciutto e l'altro rimane scomodamente seduto in attesa di un consulto da uno specialista. E tutti a sperare in qualche sconto. E il tempo non è mai quel che è ma quel che scorre per ognuno e sempre troppo presto si fa tardi per tutti. Di chi ha un male cattivo alla gola e ti dice che si appiglia a santa speranza e tu che vai per monosillabi in risposta e di chi ha da togliersi il camice all'ora di pranzo ma l'arroganza, quella se la porta fino a casa.
Io sono il numero 7 e tu che sei? Ma guardi che il 5 per grazia di dio non si sa dove sia e allora noi si fa prima. Ma lei è scapola? No, veramente mi piace pensare che io sia tibia ma lei non ci rimanga male, mi pensi pure omero se le fa piacere. Ha mai avuto problemi di cuore? Quanti ne vuole ma nessuno mortale però se vuole le do nomi e indirizzi e cronologia ma non scriva niente per carità, che lei ha poca carta a disposizione e io poco tempo per raccontare e nessuno avrebbe lacrime per piangermi.
Poi incontro una ragazza tanto tonda e tanto sorridente che mi dice che ad aspettare il turno posso farmi vecchia e tra un po' tocca a me. Mi chiede a bruciapelo se ho un tumore al seno e io dico di no e mi guardo e mi tocco e mi chiedo perché e lei continua a pregarmi di pregare, che lei è sicuro che pregherà per me.
A me, per me. Pregare cosa e chi. Io posso solo pregare che il tempo scorra veloce, che la mattina finisca, che sia ora di smetterla di girare in tondo, di fissare una segnaletica fallace che mi invita solo a perdermi e allora è meglio affidarsi ai passi. Che sia tempo di finire di essere un numero, che sia tempo di guardare altro, di respirare l'aria della strada, il sorriso di quelli che incontro, il loro giocarsi il passo fino al rischio della caduta che se proprio accade... ma tanto poi ci si rialza. E tutto il resto si dimentica. 
Anamnesia vi colga sul far della sera e di ogni pena.



venerdì 19 luglio 2013

19 luglio col male che ti voglio

Ilaria Guccione, Tira e non mollare (Palermo, 2013)
 
A me ricordare qualcuno i giorni che si deve non è mai piaciuto. A me che i bambini quei giorni là te li trascini tra navi e strade a far festa e poi li ributti nelle peggio periferie della città, non è mai piaciuto. A me le agende, le anti qualunque cosa siano, non piacciono. A me il confondere il ricordo della morte con il festeggiamento di un giorno o magari di una settimana non piace. Che poi tanto l'indomani torni a fare quello che hai sempre fatto e magari di anti e di memoranda nei giorni feriali non hai e non fai un cazzo.
Quel 19 luglio che ci avevo poco più di vent'anni io me lo ricordo bene. Faceva caldo, parecchio caldo. E io la notte prima avevo fatto un sogno che correvo e correvo perché mi inseguivano dei brutti ceffi armati di coltelli e davanti a una chiesa malmessa ci trovavo cinque bare bianche e un'altra in disparte e qualcuno che mi diceva che era gente ammazzata dalla mafia. E intorno solo silenzio ed a piangerci su non c'era nessuno. C'ero solo io che non capivo ma almeno lì non mi veniva dietro più nessuno.
Faceva caldo, faceva fin troppo caldo e io e mio fratello eravamo soli a casa, ché era domenica e i nostri genitori erano andati in campagna. Dal quarto piano di via Dante ci ritrovammo a fissare quella corposa colonna di fumo che sembrava maledettamente vicina. Qualcosa avrà preso fuoco, pensammo e allora guardammo su quell'affare della tv che neanche mi ricordo come si chiama e neanche so se esiste ancora. Quell'accessorio da tv ci disse che in via D'Amelio quel giudice lì, quello che neanche sapevo bene chi fosse, che in quel momento io mettevo a fuoco molto meglio quell'altro che l'avevano fatto saltare di maggio nei pressi di Capaci, e di lui ricordavo più che altro i baffi e quell'accentaccio siculo, era andato a trovare la madre ed era rimasto vittima di un incidente. Insomma, manteniamo la calma.
Qualche secondo appena e io che scoppio a piangere davanti a un fratello quindicenne esterreffatto, che mi sente ripetere con quel poco di voce che mi avanza: l'hanno ammazzato. E chissà se lui se lo ricorda.
E' questo che mi passa per la mente se ci penso. E son trascorsi vent'anni in cui vi siete prodigati in feste e quanto al resto è tutto uguale. E dei vostri giochi, dei vostri girotondi, delle vostre bandiere e delle vostre acrobazie con sottofondo musicale, oggi come allora non me ne fotte un cazzo.



mercoledì 17 luglio 2013

Amnesie

Ilaria Guccione, Spider-Boy (Palermo, 2013)
 
E chissà poi il nome. Se qualcuno se lo ricorda ancora, se hanno preso nota, incollato i dettagli su di un foglio di carta, pensando che può servire, perché poi un giorno rischi di dimenticare tutto. O almeno quel dettaglio che tenti di ritrovare a forza mentre lui te lo descrive sicuro e tu non te lo ritrovi  proprio e ti sembra di fare un torto alla memoria di entrambi.
Il posto quello sì che me lo ricordo, i tavolini all'aperto a due passi da sant'Andrea della Valle o forse no, era un'insalata veloce a due passi da Termini e magari no,  era sera a Trastevere e si era al chiuso ed era una di quelle cene a lume di candela che te le aspetti a lungo e intanto si sono già spente. E dai che sto giocando ad imbrogliare me stessa, inciampando nella memoria e incassando parecchi colpi.
E chissà poi la storia. Se c'è qualcuno che se la ricorda, la storia che avrei voluto raccontare stasera.  Ma come fare a dirla senza correre il rischio di mentire? Può la scrittura sostenere il ricordo? E il ricordo di chi e la memoria di cosa? Mi sentirei bugiarda, adesso. E allora taccio.
Hai ragione tu, quel quadro non l'hai mai visto perché non l'avevo ancora dipinto. Eppure avrei giurato che. E tutto il tuo resto è un esatto ricordo in controparte ed io col mio centro maldestro a dirti che no e chissà il mio tutto dov'è rimasto.
Ci vorrebbe qualcuno a salvarci i ricordi e a farceli esplodere al momento giusto ed assolverci in lieto fine, un deus ex machina da tragedia canonica, un supereroe di quelli incontrati per strada che quasi non ci fai caso. Ma adesso è già tardi, non è arrivato nessuno e allora io vado.



domenica 14 luglio 2013

Ah, Rosalia, Rosalia!

Ilaria Guccione Calia e semenza per il festino (Palermo, 2013)

"Ah, Rosalia, Rosalia, come ti persi! sentii che camminando appresso a me dicea tristissimo il valletto.
"Che c'è, Isidoro, che lamenti?"
"Niente, eccellenza, niente. Pensavo che in Palermo, proprio oggi, comincia il gran festino."
"Quale festino?"
"Di Santa Rosalia."
E mi narrò allora che in quella capitale si svolgea per cinque giorni una gran festa in onore della patrona, della vergine e santa Rosalia che Palermo salvò dalla peste nera. Mi narrò esaltato della magnificenza, della fama della festa, per cui da tutto il Regno e dall'Europa venivano in Palermo forastieri per godersela; della processione del gran carro, delle reliquie sante, del viceré, de' nobili, dell'arcivescovo, degli ordini, delle confraternite, delle corse dei barberi, della beneficiata, delle luminarie, degli addobbi, dei ricevimenti, delle passeggiate...
(Da: Vincenzo Consolo, Retablo)

Ah, Rosalia, Rosalia! Santa che non dai scampo, che sono giorni e giorni che ti ritrovo accanto. Tra quel po' di prato rachitico ficcato intorno a qualche statua e provvisori sgabelli per terra che dice che fanno tanto giardino metropolitano per una settimana.
Ah, Rosalia, Rosalia! Che li mantieni tutti contenti nell'attesa e rassegnati al solito domani e loro non si sanno né l'uno né l'altro umore ma questa sera di luglio non se la possono mancare, sera di bancarelle già pronte dal mattino a venderti calia e semenza, torrone e gelati e improbabili cuori con slogan amorosi e giocattoli che se non fosse per il caldo si penserebbe d'essere già al giorno dei morti.
Ah, Rosalia, Rosalia! Santa che spargi rose e fumo, morta che ai vivi regali la solita strada e il consueto denaro e tutti li sfinisci in giochi di luce e rumore a uno sputo dal mare.


sabato 13 luglio 2013

Camelie, Margherite e Violette

Ilaria Guccione, Tanto di cappello (Palermo, 2013)

Mio caro Adet, perché non mi parli francamente? Io credo che dovresti trattarmi come un'amica, spero quindi in un tuo messaggio, e ti bacio teneramente come un'amante, o come un'amica. A te la scelta. In ogni caso ti sarò sempre devota. Marie.

Addio, mia cara Marie; io non sono né abbastanza ricco per amarvi come io vorrei, né abbastanza povero per amarvi come vorreste voi. Dimentichiamo dunque entrambi, voi, un nome che dev'esservi a poco a poco indifferente, io, una felicità che mi diventa insopportabile. (...) A.D. 30 agosto 1845, mezzanotte.

E così, di frase in frase, la relazione tra Marie e Alexandre si chiude.
E tu ora sostituisci il nome di Marie con quello di Marguerite e quel frammento di lettera ti catapulta tra le pagine de La signora delle camelie, il romanzo più celebre di Alexandre Dumas fils, perché lui te l'ha messo lì mica perché non aveva altre parole da inventare. E ci ritrovi anche lui, non solo perché appare in prima persona come narratore e testimone della storia ma perché non puoi non riconoscerlo in quell'Armand Duval che allo scrittore racconta la sua sofferta storia d'amore con Marguerite Gautier. Alias Marie Duplessis, la bella cortigiana arrivata a Parigi ragazzina che neanche sapeva scrivere, quella che morì di tisi praticamente sola il 3 febbraio 1847 che aveva appena ventitrè anni, circondata dai debitori e tosse e sangue. Quella che, quando misero all'asta tutti i suoi beni e chissà quante signore rispettabili saranno passate per Boulevard de la Madeleine, aveva duecento volumi in casa, tra i quali Lamartine, Dumas, Scott, Hugo, Cooper. Ma quelle signore là di sicuro avranno avuto occhi solo per vestiti e gioielli e per pensieri impuri ed un'ipocrisia che non la pagheresti un soldo.
Marie/Marguerite muore sola, non rivedrà Alexandre/Armand che nel 1846 le scrive nuovamente da Madrid, chiedendole perdono e notizie della sua salute che sapeva peggiorata, da recapitargli ad Algeri. Lui apprende della sua morte a Marsiglia e le dedica dei versi, l'anno successivo scrive di getto il romanzo, nel '49 ne farà una trasposizione teatrale che incontrerà l'ostacolo della censura perché certo che se racconti la storia vera di una prostituta morta da poco in quegli anni lì...
E di vocale in vocale, Alexandre/Armand diverrà Alfredo e di fiore in fiore Marie/Marguerite sarà Violetta. E di nota in nota Verdi comporrà la Traviata, che andrà in scena per la prima volta nel 1853 e sarà un fiasco ma oggi quando è in cartellone accorrono tutti. E tra prosa e melodramma eccoti cambiato il finale e lei che almeno muore infinite volte tra le braccia del suo amato.
E adesso potrei spendere altre parole per raccontarti di Marie o per dirti dov'è che nel romanzo ci riconosci la sua storia con Alexandre o ancora quali arie dell'opera mi commuovono da anni o di quella volta che da Roma arrivai in un paesino nel Lazio solo per amore di quella mia amica e della sua voce da Violetta che ogni volta ci piangevo o anche del senso del volume di Manon Lescaut nel romanzo e nella vita di Dumas fils. E invece no.
In questo popoloso deserto che appellano Palermo, mi piace solo pensare che scrivere quella storia lì sia stato per lui il modo migliore e necessario per far i conti col passato e per provare a farci pace. E se passi dal cimitero di Montmartre, chiedi della tomba de la dame au camélias e portale un fiore da parte mia ma non sbagliare, ché quelli che fan profumo non le son mai piaciuti.




martedì 9 luglio 2013

Confusione?

Ilaria Guccione, Cruciverba (Palermo, 2013)
 
Ad averci la soluzione per risolvere il silenzio. A tirar fuori i numeri giusti per giocarsi il tempo. A trovarsi spazio bastevole per reggere astrusi castelli di parole. A correggersi gli errori sbiadendo le macchie di malinteso e d'inchiostro.
Non ci si dannerebbe la testa in formule di impazienza, ci si comprenderebbe a filo di voce nonostante il frastuono della festa. Si soffierebbe sui pensieri in sospeso, ci si annullerebbe in leggerezza il capogiro dell'attesa. Non ci si farebbe pena a cercarsi la parola giusta in un mondo sbagliato, la faccia che vorresti incontrare al calar della sera.
Ci si centrerebbe ad ogni incontro.









domenica 7 luglio 2013

Cose che ho visto di domenica

Ilaria Guccione, A Palazzo dei Normanni (Palermo, 2013)

Quello che volevo raccontarti non lo so o forse meglio non me lo ricordo. E in un mare di alcool si galleggia se si può, sennò si gioca a fare il morto. *
Ho visto turisti parecchio nordici pisciare sotto la chiesa di san Cataldo, preoccupati solo delle siringhe che avevano visto nell'aiuola ma allo schifo che ci lasciavano loro non ci pensavano affatto.
Ho visto una coppia chiedere dove fosse palazzo dei Normanni e la gente alla fermata dell'autobus che, solo a girarsi ci avrebbe trovato le mura, rispondere che chissà dov'è, loro non sanno cosa sia.
Ho visto un vecchio attaccare con cura una sedia a un albero a piazza Indipendenza dandoci sotto di catena e di lucchetto e a pochi passi i soliti suoi coetanei che si giocano la pensione a carte. Ho visto che è tempo di prezzi scontati e alla Rinascente ci stanno le stesse vetrine dei bei saldi andati e delle mie fotografie.
Ho visto che quest'anno vanno tanto gli ombrellini bianchi traforati, che puoi scegliere tra cento pessimi cappelli, che acqua e birra ghiacciata non te la nega nessuno.
Ho visto una piccola turista che mi ha urlato "Pimpa, pimpa!" E io, temendo per un attimo di essermi ricoperta di pois rossi e chissà poi le orecchie quanto si erano allungate, mi sono fermata. E la bambina ha cominciato a scattarmi foto dalla sua macchinetta giocattolo, di quelle che non fermano immagini ma regalano l'allegria del gioco. E ci siamo fotografate a vicenda e poi ci siamo dette ciao ciao con la mano e regalate dei sorrisi che me li sono portati fino a casa.
Ho attraversato il deserto di villa Bonanno, che c'ero entrata dalla parte della questura e intorno mi ritrovavo solo grate che neanche fossi in prigione e terra ad appesantirmi il passo e cambiarmi il colore a piedi e sandali.
Ho visto fidanzati abbracciati mettersi in posa davanti al cellulare per ostentare un bacio in scatti ripetuti che a trovare quello perfetto devi far più prove e nessuna voglia mia di puntargli addosso l'obiettivo, ché i bluff li riconosci a naso.
Ho visto ragazze orientali cercare la miglior posa vezzosa giocando di fianco e d'ombrellino di tre quarti per una foto ricordo e turiste americane inarcare la schiena e puntare l'infradito sul suolo per sorridersi meglio.
Ho visto il vecchio seduto al mercato delle pulci giocarsi il tempo in attesa del guadagno, che tanto non passava nessuno e lui nel frattempo almeno ci stava su comodo.
Ho visto il carro di santa Rosalia che fa cantiere aperto in cattedrale ed è lo stesso dell'anno scorso e dai che gli dai una pittata e torna quasi uguale però aspettiamo la nuova statua e vedrete che miracolo.
Mi sono vista vagare sotto il sole di luglio senza contarmi i passi, andare avanti a gran velocità e poi ritornare indietro lenta e sorridermi il tempo di un saluto sudato e ritrovarmi davanti allo specchio di casa stravolta dal sole e dai soliti pensieri.



martedì 2 luglio 2013

Sotto un cielo di carta

Ilaria Guccione, Burattino senza fili (Palermo, 2013)


Le marionette, loro sì che sono fortunate: vanno in scena di tragedia in commedia e mai che gli si squarci quel cielo sottile di carta che gli fa da riparo. Mica come voi, che vi costringete ad andare di fretta in questo gran teatro fatto di giorni e di notti, pronti a farvi tirare un braccio e piegare il collo in un incrocio di fili tra compromessi e doveri. Tutti attenti ad investire in memoria per imparare correttamente la parte e meritarvi almeno un applauso. Eppure, a sapere alzare la testa, sarebbe così semplice capire che noi ci si trova tutti a recitare la vita sotto un cielo pieno di buchi neri. Et voilà! Arriva il temporale e il copione si bagna e non ci leggi più niente, si cade in balìa del dubbio, ci si dispera in assenza di battute appropriate per salvarsi la scena.
Signor Meis, stasera dovrebbe venire con me a teatro, ci sono le marionette! E c'è Oreste, signor Meis, sicuramente mettono in scena l'Elettra di Sofocle!*


* Se non sai cosa sia il buco nel cielo di carta, se Adriano Meis non ti dice nulla e meno che mai Anselmo Paleari, leggi almeno il dodicesimo capitolo del Fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello. Anzi, leggilo tutto. E anche se l'hai già letto, rileggilo che male non ti fa.