Spider-Boy

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giovedì 31 gennaio 2013

Parola d'attesa





Ilaria Guccione, Prima che tu dica pronto (Palermo, 2013)


Parola d’attesa, forse silenziosa, ma che non lascia in disparte il silenzio e il dire e che fa del silenzio già un dire, che dice nel silenzio già il dire che è il silenzio. Giacché il silenzio mortale non tace."
(Da: L'écriture du désastre, Maurice Blanchot)

Facciamo così noi. Immobili ci rincorriamo le attese fingendo sia sempre un giorno straniero che aspetta un’identica sera. E allora ogni tanto ci provo, mi costringo, mi fermo e conto. Fino a dieci. E poi comincio a camminare per la piazza e conto ancora. Fino a. Il tempo dell'attesa, di quella che mi concedo di giornata in giornata.
E intorno sempre tutto questo rumore accelerato fatto di venditori a buon mercato tra piante e magliette da tifo ed incontri da tazze di caffé sui tavolini di vetro e da quanto tempo non ci si vede, ma uno sconto non me lo fai, che neanche mi sento i miei passi e mi perdo di pazienza.
Mi avanza ogni volta un silenzio in attesa di una parola. Che avrà sbagliato indirizzo, smarrito il mittente, sostituito la distanza con l'assenza. Giro di nuovo per la piazza, per un saluto a chissà chi o per confondermi un ancora presto con un troppo tardi, per continuare ad avere qualcosa da dirmi.










mercoledì 30 gennaio 2013

L'amore è tutto tempo preso

Ilaria Guccione, Venitele a prendere (Palermo, 2012)


Dice che l'amore scatta all'improvviso. Dici che scatta? Di certo scotta. E spesso scappa. Qualcosa di certo sempre scoppia.
Un giorno qualcuno dirà di loro che erano soli e non lo erano affatto. Il tempo di capire se di tempo per loro ne avanzasse o mancasse e il loro tempo era già finito.
Ci si prova ad andare lenti che ti trattieni il fiato e ti rimandi le parole, ci si ritrova sempre a bisticciare con quell'alta velocità che non la vuoi per niente ma impietosa ti ributta per strada. Non importa quale. E allora senza alcun preavviso non è più tempo di dire né volare. Rimane solo tutto questo niente intorno che fa troppo rumore.
E dai che ancora non è tempo per cambiare strada e direzione di sguardo e sentimento. L'amore è tutto tempo preso. E agli altri non importi dove e quanto, che a far di conto e andare di bilancio stanno raccontando altro.
L'amarsi è un continuo giocare all'inciampo. Sulle labbra, dici tu. Sulle parole, aggiungo io. Ché se smetti di parlare allora è tempo che ormai ci si perde ed è ora davvero di andare.









martedì 29 gennaio 2013

Citazioni da OSHar Wilde

Ilaria Guccione, L'importanza di essere fonte (Palermo, 2013)

(SOTTOTITOLO: conversazione tra Osho e il Pasquino)

Il Pasquino. Sembra guardare in una sola direzione con quella sua faccia di pietra. Ma quello sta sempre attento a tutto ciò che ha intorno e a tutte le parole che gli passano accanto. E si muove, anche se te lo trovi sempre fermo lì. E c'ha sempre qualcosa da dire. E ce lo sai anche tu, se ci sei passato davanti almeno una volta nella vita.
Un giorno gli passa sotto quel santone lì. Ma sì, proprio quello col barbone e tutti e due gli occhi illuminati, stronzo il destro, opportunista il sinistro. E voglia di far soldi con un po' di filosofia che basta che te lo guardi in foto e te ne rendi conto pure tu. Insomma, Osho, la divinità da ultimo millennio, da ultima moda, da ultima edizione, da ultimo corso esoterico avanzato, da minchia mi ha proprio cambiato la vita, mi sento illuminato. E allora mi inchino.
(E accendi un po’ di luci allora, no? Così ti rendi conto che non ti sei spostato di un passo dal tuo piccolo mondo se non che prima te lo misuravi in lire e ora in euro. E tutto il tuo scontento è sempre lì. E quella rabbia che te la rigiri e intanto cova e non te la sconti di certo con i libri suoi e non te la saprai mai misurare in nessun modo.)
Osho si guarda intorno sperando che ci sia parecchia gente in giro e poi gli sussurra mellifluo:
"Una donna non deve essere capita, bensì amata. Questa è la prima cosa che bisogna comprendere."*
E Pasquino ride a crepapelle e poi risponde: a bello, la prima cosa che ce sta da comprenne è che me stai a cojona’, me stai a cita' Oscar Wilde, mica ce casco: le donne non bisogna comprenderle ma amarle.** Volemo trasforma' n'aforisma de Oscare in una Verità da oshovangelo che poi quelle sceme che te vengono dietro ce credono pure? E allora sai che te dico? Che è sempre sciocco dar consigli: ma dare buoni consigli è fatale. E pure che si sa che la gente dà buoni consigli, sentendosi come Gesù nel tempio, si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio .*** Che sto a di’? Fa’ un po’ te, che tanto te sei bravo a mischia' e cucina’ papponi pe’ la ggente, ma che te frega a te delle fonti? Che chi te prende come fonte suprema rimane sempre co' la sete che nun è mai quella de capi’. E de cerca’ le fonti nun gliene frega gnente.
Allora Osho si incazza e gli urla:
Sei tu, sei sempre tu il fattore decisivo, sei tu che decidi tutto ciò che ti accade. Ricordalo! La Chiave è questa: se ti senti infelice, è una tua scelta.****
E dice il Pasquino: E allora mo’ provo a dirtelo in italiano: offendi l'intelligenza mia, che quando uno è infelice, che quando lei ha un tumore, che quando a lui gli muore un amico nel sonno, embè? Nessuno l'ha deciso, nessuno l'ha voluto. Sai cos'è l'unica cosa che mi fa paura nella vita mia? Che io possa avere paura di non affrontare le paure che c'ho e di non fare un passo. E invece ce vado incontro, ce so' sempre andato a sbatter contro. E questa è la forza mia. Anche se quando sbatto cado.
Ma va a mori’ ammazzato. Ah già, t’è capitato. Ma li morti che pesano davero so’ artri, so’ quelli  che se ne vanno co’ na burla de processo. E quelli sì che pesano più peggio e quelli si’ che diventano la cattiva coscienza der padrone.*****
E dici che sull'altro lato della medaglia ce sta scritto Libertà? Ma che me voi cojona’ ancora? Che tutto quello che dici tu e gli amici dell'amici tua è tutto pieno de sbare, che si no nun c’è gusto. E’ la libertà de mette ar gabbio la testa de la ggente e de facce un po' de sordi su. E si me incazzo nun è per li cojoni che te fanno fonte suprema si solo leggono er nome tuo, che quelli so' sicuri d'esse arivati e allora nun ce pensano proprio a cerca’ de capi’ 'ndo sta la verità, che, chi te legge, le fonti nun ce le sa e te crede dio. Ma è pe’ tutti quegli artri che ce cascano invece de pensa’a misura' li propri passi pe’ la strada.
Vabbè, statte bene ma sta’ alla larga da me e dalli amici mia. Che quello che avemo imparato noiartri è che la strada nun fa che cambia’ e tu devi esse bravo a camminacce tra ogni voto e ogni pieno, che un po' fa luce e un po' fa scuro, e la forza nostra è de rimane’ interi cambiando per sentiero.****** E mo' che voi, la fonte? E io nun te la do, che c'hai giocato pure e ce lo so. E' fonte vecchia più de te, e fonte de buonsenso. E' robba de li passi che ognuno c'ha li sua e paga pegno sempre co' quello che se porta dentro.

* Da: Osho, Il mistero femminile, pubblicato da Mondadori.
** E' uno dei tanti aforismi di Oscar Wilde sulle donne.
*** Un po' Wilde, un po' De André e se non sai distinguere, io non ti dico gnente e tu non mi leggere più.
**** Da Osho: citazione che te la trovi su internet come un virus e neanche mi interessa risalire all'archetipo.
***** Liberamente tratto dal film: Nell'anno del Signore (Luigi Magni, 1969). A parlare è Cornacchia/Pasquino/Manfredi.
****** Liberamente tratto dal Taoteching, con consapevole allegria e con romanesca ironia.









lunedì 28 gennaio 2013

La distanza è una ragnatela

Ilaria Guccione, Il gioco delle oche (Palermo, 2013)




"E' in questo silenzio dei circuiti che ti sto parlando. So bene che, quando finalmente le nostre voci riusciranno a incontrarsi sul filo, ci diremo delle cose generiche e monche, non è per dirti qualcosa che ti sto chiamando, né perché creda che tu abbia da dirmi qualcosa. Ci telefoniamo perché solo nel chiamarci a lunga distanza, in questo cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno d'un'eco, si perpetua il primo richiamo della lontananza, il grido di quando la prima grande crepa della deriva dei continenti s'è aperta sotto i piedi d'una coppia d'esseri umani e gli abissi dell'oceano si sono spalancati a separarli mentre l'uno su una riva e l'altra sull'altra trascinati precipitosamente lontano cercavano col loro grido di tendere un ponte sonoro che ancora li tenesse insieme e che si faceva sempre più flebile finché il rombo delle onde non le travolgeva nella speranza." 
(Da: Prima che tu dica "pronto", Italo Calvino)

E quel provare e riprovare a chiamarti per nome. E com'è che non rispondi, non mi senti? Eppure ho urlato, eppure il tuo nome l'ho imparato per bene e me lo ricordo, lettera per lettera. Certo che non mi senti, ti sto parlando ma non ti chiamo. Certo che non mi rispondi, è tutto un brutto sogno. Qualcuno -io- è caduto per strada, in una buca senza fondo. Qualcun altro -tu- mi è passato accanto senza fermarsi a guardare né tendere una mano.
Al risveglio penserò che ci sia accaduta una cosa tremendamente importante di cui dirò di non ricordarmi niente per non dovertela raccontare. Una scusa come un'altra per porre fine a una conversazione che non è mai iniziata. Ché la scusa dei gettoni inghiottiti e finiti non vale più, in questi tempi in cui si gioca in assenza di fili tra distanze di tempo e spazio. Ed in assenza di tanto altro.
Così crepa la notte, mentre t’annodi il fiato, per fingere ostinato di non conoscere vento. Così mi uccidi, ostentando cattiva memoria e silenzio. (Resta sempre qualcosa  in agguato: l’istinto del volo ad ala spezzata, la dolorosa meraviglia dell’alba.)
Cos'è però tutta questa distanza che continua ad urlare qualcosa? E' davvero quell'ordito che regge la trama di ogni storia d'amore e di ogni relazione tra chi è dotato di respiro, come scriveva Calvino? O è piuttosto una ragnatela sottile sottile che ti arriva antipatica all'improvviso sulla faccia e, pur di negare la coincidenza dei pensieri miei coi tuoi, tenti di farla a pezzi con un colpo deciso delle dita per non ritardarti quell'appuntamento che hai preso per cena a due passi da casa? Fai pure ma cerca almeno di ammazzare il ragno. Per non sentire più quell'eco che ritorna, portando con sé ogni richiamo possibile da tutta questa lontananza.