Spider-Boy

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lunedì 13 maggio 2013

Odi et amo

Ilaria Guccione, In bici (Palermo, 2013)

Odio.
Fare il conto alla rovescia alla posta e al supermercato, che mi cerco gli orari più impensati e mi intrappolo in una fila lo stesso, io con due cose contate e scontate e un soldo e mezzo da spendere e tutti gli altri in sovrabbondanza di spesa e di lamentela.
Odio le banche e in quel po' di tempo che ci passo dentro ci sogno bombe che esplodano non appena me ne sono andata. E poi non dite che sono stata io a lasciarle in una borsa.
Odio. I volumi troppo alti a meno che non sia io ad alzarli, cercando di battere in fiato qualche cantante con la mia voce. Odio i film commerciali e chi li ama e si lamenta perché non gli sono piaciuti e piange pure sul costo del biglietto e poi da me che cazzo vuoi se ti prendo per idiota. Odio le associazioni socioculturali, sempre pronte a convincerti che se ci vai sei dalla parte giusta e buona, quella del loro bilancio agevolato.
Odio il silenzio di chi non ti risponde se gli dici qualcosa e il sorriso di chi ti incontra e sa far finta di niente. Ché io ho una voce da consumare e il mio tutto in disappunto che me lo trovi in ogni muscolo della faccia e allora se mi incontri cambia strada, che è meglio.
Odio la tv accesa e infatti la mia è sempre spenta, odio chi ti dice che la tv non ce l'ha e poi passa ore a imbottirsi di mafia a puntate in streaming. Odio scoprire al risveglio che è finito il caffè e maledirmi per la mia fatale distrazione.
Odio quelli che adesso facciamo la rivoluzione e come la facciamo la rivoluzione, comodamente seduti e magari la facciamo tutti domani e domani è sempre un giorno in cui li trovi ancora comodamente seduti, a casa o al posto di lavoro che figurati se mi assento ma dal mio computer ah se mi sentono e vedrai come te le cambio le cose.
Odio le donne che davanti allo specchio, che ci passano ore di trucco e di capelli contati sulla testa vuota da sistemare, non si vedono per quello che sono e poi si lamentano pure che nelle foto le fanno venire sempre male. Ma neanche se andate a battere vi pagano e allora ringraziate quegli sfigati che hanno deciso di sopportarvi.
Odio quelli che si fingono cortesi che poi se gli rispondi per come meritano la scortese diventi tu, quelli che ci vogliamo bene tutti quanti e non ci lasceremo mai e dai che domani alle dieci ci ritroviamo qui e poi appena sei andato via affilano la lingua con il primo che hanno a portata di voce.
Odio quelli che vivono in funzione dei loro progetti e i contratti a progetto. Odio il cool, il 2.0, il brunch e l'happening. E tutti quelli che vai con la parola straniera ma guai a saper mettere un apostrofo o un accento tra una parola italiana e l'altra. Odio quel valutarti a tempo, come se in un tot ore valessi qualcosa che altri hanno deciso e per il resto vai cordialmente a fare in culo, ti richiameremo quando ci fa più comodo ma sai, dipende dal finanziamento e dal governo. E dalla raccomandazione del momento.
Odio le feste comandate ed ogni tipo di comando e la gente in divisa e le divisioni tra la gente e i codici a barre e quelle sbarre imposte che poi mi manca l'aria e figuriamoci a chi sta dall'altra parte ad aspettare di rivedere un panorama indiviso.
Odio quelli che io mi sento tanto fotografo ma non so cosa sia la messa a fuoco e l'esposizione è quella che faccio in costume a luglio, quelli che io mi sento tanto scrittore e uso le parole a cazzo e i segni d'interpunzione in base al ciclo ormonale, quelli che io sono tanto artista ma se poi ti dico che l'arte non salva il mondo ti offendi a morte. Quelli che io mi sento tanto storico dell'arte e non sanno distinguere un carboncino da una matita.
Odio dover fare i conti perché qualcuno ha deciso per me che c'è un tempo che scade. Ché il mio tempo è quello che è e lo so io qual è e i conti me li tengo sotto al cuscino per giocarci meglio di notte a sbilanciarmi la vita e il sonno. Odio quelli che sul tuo buonsenso in regalo ci sputano e vanno a pagare dei coglioni che gli promettono di insegnargli a respirare sputandogli addosso qualche parola orientale.
Odio chi fa della memoria solo una parola con cui giocare quando gli fa più comodo e poi neanche ti riconoscono per strada e allora figuriamoci se si ricordano il resto.

Amo.
Il bianco e nero tra film e foto. Amo Godard, Simenon e la Szymborska e Brel e Vecchioni. Amo lo stupore che regalano certi occhi, il fruscio delle pagine di un libro, anche se non lo leggo. Il silenzio della casa alle cinque del mattino, i gabbiani sulla mia testa, che così mi sento un po' a Palermo e un po' a Roma. La quiete strafottente del mio gatto e qualunque cane mi salti festoso addosso. Amo i bambini che mi sorridono quando li fotografo. Amo anche Catullo, che sennò il titolo che ho scelto per queste parole non vale.  Amo la mia testa in qualunque direzione vada e in qualunque ostacolo inciampi. Amo più di quel che odio, che è tanto davvero ma adesso sono stanca e non mi va di raccontartelo. Ma tu pensaci pure se vuoi, che qualcosa di me di sicuro la sai e da qualche parte te la ritroverai. Se è vero che nel mio viaggio in qualche modo tu ci stai. 

Scusa se non ti aspetterò, si prende il treno che si può.


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