Spider-Boy

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giovedì 31 ottobre 2013

La strega pasticciona e il suonatore d’organetto



Ilaria Guccione, Musicomio (Palermo, 2013)

E’ la notte del 31 ottobre. Anche quest’anno è ormai tornata la notte delle streghe, quella che gli abitanti del mondo normale chiamano notte di Halloween, con i suoi dolcetti e scherzetti per i bambini, e gli adulti tutti pronti a camuffarsi da esseri più o meno spaventosi perché ogni scusa è buona per far festa tra loro.
Carola aspetta ogni anno questa notte con impazienza: perché lei è una strega, inesperta ancora, ma pur sempre una strega. E le notti magiche come questa le permettono di rigenerarsi e di ricevere in dono qualche nuovo potere o formula magica.
Ma stavolta per lei questa notte ha un significato speciale: un’occasione unica per compiere una magia che non potrà mai più ripetere.
Di secolo in secolo, di generazione in generazione, nella sua famiglia i poteri sono stati tramandati di donna in donna. E così ricette astruse, formule estrose e candele accese a migliaia da causarti l’insonnia, ché non ti puoi mica addormentare fin quando non finiscono di bruciare o rischi di autocondannarti a un rogo casalingo.
Una gran fatica quella di essere streghe, Carola lo aveva capito fin da subito. Perché lei è una strega buona e le streghe buone non fanno altro che aiutare gli altri. Perché la gente viene a cercarti anche se non sa che sei una strega: è come se la legge della calamita si impossessasse di te. E allora c’erano giorni in cui Carola sentiva l’esigenza di fuggire e nascondersi dal mondo normale, quattro robe nella sua borsetta da viaggio ed eccola scappare sulla sua scopa, fino ad una grotta in collina.
Ah… la meraviglia del silenzio profondo, della solitudine che ti avvolge e ti permette di liberare i pensieri… e anche di fare magie, beninteso. Una strega che si rispetti non può mai smettere di esercitarsi e quindi avere un proprio rifugio è fondamentale, un buco, un piccolo buco oscuro illuminato solo dalle candele e dalla luna, un buco in cui nessuno ti venga a chiedere aiuto.
Che poi le streghe non esperte come Carola, diciamolo pure, non sono mica tutte brave ad aiutarsi da sé: a volte ridiventano come tutti gli altri, avrebbero bisogno di un po’ di sostegno perché provano paura e stanchezza anche loro, ma se la gente è abituata a vederti come il suo parafulmine neanche ci arriva al fatto che forse anche tu, magari ogni tanto, anche solo per qualche oretta, puoi trovarti in difficoltà come ogni essere umano. E allora, via: meglio il buco!
Negli ultimi tempi Carola stava sempre di più rintanata nel suo amato buco. Come era rassicurante la sua tana, solo lì si poteva perdere in se stessa, poteva veramente riposare o almeno fingere di farlo. Però ogni tanto anche le streghe hanno bisogno di mantenere i contatti col mondo: lei allora usava la sua bella e potente sfera di cristallo, che però ha i suoi pro e i suoi contro: perché finisci con il captare sempre le solite persone che hanno bisogno del tuo aiuto. Ma lei ormai cominciava ad ascoltarle sempre di meno, un “sì” ogni tanto, un “bene”, un “hai ragione”, mentre viveva parallelamente nella sua dimensione magica e solitaria.
Finché un bel giorno d’estate, anzi una sera, forse per una curiosa interferenza della sfera, era entrata in comunicazione con un tipo che non conosceva. Lei era distratta e distaccata come sempre però trovava che fosse proprio simpatico, la faceva ridere e le faceva perfino dimenticare tanti affanni che una strega per quanto giovane come lei aveva già sulle spalle.
E poi lui le aveva detto di essere un suonatore d’organetto… Come deve essere bello, pensava Carola, fare magie con la musica, come fa lui. Note che danzano nella testa, fino a trovare un ordine, una collocazione nota dopo nota, un senso, volteggiando nell’aria.
Ah lui: anche lui ovviamente aveva un nome, si chiamava Valentino. Che nome buffo, romantico anche: tutti gli abitanti del mondo normale si rivolgono a un santo con questo nome quando sono innamorati, almeno per un mazzo di rose o una confezione di cioccolatini una volta l’anno.
Valentino e Carola si ritrovarono a parlare anche di solitudine… ah che interminabili discussioni! Lui continuava a ripeterle che non si può stare soli, che la vera sfida è l’essere in compagnia, che è facile condurre una vita in solitudine, che lui lo sapeva bene, mentre lei si affannava a sostenere che no, la solitudine non è necessariamente una condanna, ché lei aveva consacrato anni della sua vita alla solitudine e che da sola ci stava benissimo: come si fa a condividersi anima e pelle con qualcuno se prima non si è imparato a star bene da soli?
Intanto Carola si ritrovava a pensare: come sarebbe bello girare il mondo insieme e camminare e camminare per boschi e sentieri e colline e spiagge e fischiettare piano la sua musica raccogliendo bacche ed erbe mentre lui suona!
Intanto il tempo passava, passavano i giorni, le sere e anche i mesi e passò una stagione intera e improvvisamente Carola dovette riconoscerlo: Valentino era sempre più spesso nei suoi pensieri. Mmm che cosa incresciosa, pensava la strega. Incresciosa e pericolosa. Io sono una strega, mica una qualunque, che si sveglia la mattina, apre la finestra e dice al mondo: oh mi sono innamorata.
No, no no… è roba troppo rischiosa, Carola non ti puoi mica innamorare di questo suonatore d’organetto, e poi lui è un tipo assai bizzarro! Perché qualcosa di strano ce l’aveva, lei lo sentiva, lo leggeva tra le righe… e tra le nuvole sulle quali così spesso lui si perdeva.
Non che Carola non si fosse mai innamorata, accade anche alle streghe, sia chiaro, un incidente di percorso come un altro, questa era ormai la considerazione della nostra strega sull’argomento. Perché lei ormai lo sapeva, aveva capito che quando stava sola, nel suo buco oppure in giro per il mondo, in mezzo agli abitanti del mondo normale, stava meglio. Aveva studiato l’arte della solitudine con scrupolo per anni, non era mica una impreparata sulla materia!
Però qualcosa si stava insinuando in lei, Shhhhhh c’è qualcosa che avanza nel mio cuore, striscia, come uno di quei serpenti che di solito all’improvviso ti incanta… qualcosa che forse ormai l’aveva presa per distrazione. La distrazione è l’unico modo in cui si possono catturare le streghe.
Ecco, dev’essere stata colpa della mia maledetta distrazione! Eppure quante volte a lezione di magia le avevano detto: una strega non deve mai distrarsi, altrimenti è la fine. E invece no, lei è anomala anche come strega, una che si perde, non crede che esistano solo due mondi, quello normale e quello magico: per lei c’è un terzo mondo, il suo, quello che è totalmente suo e in cui lei si sente perfettamente a suo agio, come sotto una coltre in pieno inverno, delizia, consolazione e rifugio.
Eh… però… Patatrac! La frittata eccola lì ormai, nel suo bel piatto di portata: la strega si era innamorata. Fosse stato un amore non corrisposto, di quello che sbirci silenziosamente l’oggetto dei tuoi desideri attraverso la sfera magica o specchiandoti nell’acqua di un ruscello in certe notti di luna crescente o piena, sarebbe stato forse meglio.
Ma lui no, il suonatore di organetto diceva di amarla, e mentre glielo ripeteva, le suonava melodie sconosciute in cui lei si perdeva, le regalava abbracci sconfinati e sorrisi e baci dalla durata infinita e le raccontava di lei come se la conoscesse da sempre.
Perché sì… almeno di questo erano certi: si erano semplicemente ritrovati, si conoscevano da sempre. Dovevano essersi conosciuti in un’altra vita, magari vagando per il cielo, lei con la sua scopa e lui sospeso tra una nuvola e l’altra.
Lei ci provava a opporsi a questa nuova, insolita magia ma la sua resistenza durava poco, non poteva proprio sottrarsi perché ci credeva, perché non faceva altro che pensare a lui e allora finiva col fare disastri, come bruciare i pentoloni con le sue pozioni, rischiando di dar fuoco alla casa.
Sentiva il suo respiro respirare col suo. Lo sentiva costantemente accanto a sé anche se di fatto lui non era lì con lei e ciò le procurava gioia e a volte pena. Passava le notti a vegliarlo, a proteggerlo, perché lui le chiedeva di tenerlo stretto a sé e di essere protetto. E lei trascorreva ogni giorno ad aspettarlo.
E lo sentiva, come averlo dentro, come essere il suo riflesso, anche quando lui era triste e diventava cattivo, quando si dilaniava alla ricerca della perfezione ma non la trovava. Non avrebbe potuto, lui apparteneva al mondo normale che è privo di perfezione, ma lui non era perfetto come non lo era il mondo di cui faceva parte. Dirglielo però era inutile, soprattutto in quei momenti.
Insomma, anche per una strega come Carola mica potevano esistere storie d’amore perfette. Ah già… la perfezione! Non può esistere perfezione in una storia d’amore tra un abitante del mondo normale e una strega. La cattiveria, quella sì che sa essere perfetta e inopportuna e ti assale come un’accusa ingiusta quando meno te l’aspetti.
E quando lui diventava cattivo, lei si sentiva sommersa, invasa dalla sua rabbia, e avrebbe voluto anche lei distruggere il mondo (ma quale poi? Finiva solo con lo scalfire il suo), e per non farlo si ritrovò un giorno a scappare nel bosco e a ferirsi a un braccio in mezzo ai rovi per smettere di sentirlo e tentare di liberarsi da quel peso così opprimente, come di nuvole pronte a scatenare temporale.
Si sentiva persa, sì… come si sentiva persa tutte le volte che lui la accusava di essere troppo buona. Ma io sono una strega buona, sono così, come potrei essere diversa? Continuava a ripetergli. E allora ecco arrivare le lacrime silenziose, e la sfera ricoperta col suo panno scuro e il rifugiarsi nel suo buco.
E se qualcuno la cercava, le poche volte che metteva il naso fuori dal suo nascondiglio, rispondeva distrattamente: cosa mai avrebbe potuto capire la gente che la prendeva per matta così com’era, nella sua finta veste di abitante del mondo normale? Delle streghe       -ahimè-  ci si serve per convenienza, poi ci si dimentica di loro e si mandano al rogo o in un angolino: questa è la triste realtà. E allora giù altre lacrime copiose…
Carola ci provava però a reagire e, lentamente, mandava sorrisi e pensieri tinti di speranza e gioia a Valentino, non appena presagiva i suoi malesseri, ma ogni tanto sbagliava di nuovo, perché lei non era ancora una brava strega, e provava a parlargli, e veniva di nuovo travolta dalla cattiveria e ogni frammento di mondo possibile le crollava addosso, aguzzo. E non importava di quale mondo fra i tre fosse… faceva male e basta.
Eppure glielo aveva anche detto, fin da subito: io non sono perfetta, se tu cerchi la perfezione hai sbagliato indirizzo e destinataria, vivo in un mondo perfetto in cui sono felicemente imperfetta… non mi distruggere, ti prego.
E lui prometteva che non lo avrebbe fatto, che voleva solo che lei rimanesse così com’era, che stesse con lui finché lo avrebbe voluto: soluzioni semplici e rassicuranti per una situazione complicata. Ma poi lui ricominciava, come se tentare di distruggerla fosse necessario e spigoli di cielo le piovevano addosso, come frammenti di specchio infranto; lei però, ostinata, attendeva paziente che rispuntasse il sole e allora sì che poteva uscire dal suo buco e sorridere. E sorridergli, respirando finalmente a pieni polmoni, sollevata.
Ma ogni strega che si rispetti, e in fondo anche lei lo era (almeno un minimo rispetto le toccava!), sa che nel mondo reale lei non può esistere. Questo era ciò che più intimoriva Carola. Per una strega non c’è posto nel mondo normale e per quanto Valentino vivesse tra le sue nuvole, faceva pur sempre parte di quel mondo. Sì, lui aveva il suo mondo, nel bene o nel male, del quale lei non avrebbe mai fatto parte. Ma ogni tanto Carola non ci pensava, perché era così bello ritrovarlo lì, così indispensabile lasciarsi cullare dalle sue parole e dai suoi abbracci, vivere la necessità del loro esistere in due.
Ma un brutto giorno, come solo nella realtà accade e non nelle fiabe, Valentino decise di andare via. Non voleva più stare con lei. Non voleva e basta. Aveva altro da fare e basta. Aveva paura e basta. Non voleva parlarle più e basta. Aveva fatto le sue scelte e basta: aveva il suo mondo normale che l’aspettava. E questo gli bastava. Gli abitanti del mondo normale sono fatti così, vanno via e basta.
Così Carola si ritrovò suo malgrado con delle ferite da donna normale da curare, ché neanche i medicamenti magici servono a molto in questi casi e decise che solo il silenzio e il suo buco avrebbero potuto, non curarla, ma almeno lenire il dolore. E ci si rintanò, per l’ennesima volta, senza sentire più niente, senza vedere più nessuno. Ascoltava le musiche che lui un tempo le suonava, scoppiava a piangere… poi niente più.
Un assordante silenzio la cullava in notti di infinita veglia, in cui i rari sogni si popolavano di persone che parlavano, parlavano, urlavano ed ecco che le voci, il rumore che durante il giorno rifuggiva si riversavano in apocalittici incubi. Come se tutti volessero dire la loro: era forse la solita gente che aveva bisogno di lei? Come se ognuno dovesse parlare più forte dell’altro per farsi sentire: le gridavano per l’ennesima volta che era pazza?

Ma ritorniamo finalmente all’inizio della nostra fiaba: la notte del 31 ottobre, la notte delle streghe. Ne ha già vissute tante Carola, questa però è davvero speciale: vuole che almeno in questa occasione il suo Valentino sia con lei.
Ma perché una creatura del mondo normale e una strega che non ha al suo attivo grandi e potenti incantesimi si incontrino grazie alla magia, esiste solo una possibilità: che lui sia trasformato in qualcos’altro. E come se non bastasse lo sforzo necessario a trovare il coraggio per parlare con Valentino e proporglielo, ci si mette anche lui, perché non è mica convinto, lui è uno che i dubbi li coltiva con cura (forse non ci crede affatto che lei possa fare una cosa simile?) ma alla fine le dice: mmm… vorrei essere trasformato in un cavallo bianco.
Oh e perché mai? Chiede stupita Carola.
Così… per essere un po’ romantico! Risponde lui, disarmante.
Ma… mi toccherà cavalcarti, lo sai? E se poi tu mi disarcionassi? Non sono mai andata a cavallo, io. E se ci perdessimo?
Lui la rassicura, no, certo che no: tutto questo non succederà.
E allora Carola si concentra e recita la formula magica appropriata:
Tre dita di assenzio e un rametto di corallo:
Che tu sia trasformato in un bianco cavallo.
E pouffffffffffffffffffffffffffff! Al posto di Valentino, ecco ora un cavallo bianco!
E adesso dove vuoi andare? Gli chiede lei.
Ma nella Camargue, mia Cara! Esclama lui, scalpitando. Allora intraprendono il loro viaggio, e lei cavalca prima un po’ impacciata, poi sempre più rilassata e sicura.
Ma un giorno Valentino diventa improvvisamente irrequieto, scalcia e la disarciona e solo dopo le dice: perdonami, è che sono triste, sono inquieto, volevo essere un cavallo bianco per sentirmi libero ma la sabbia e la terra mi hanno sporcato e il colore che ho ora non mi piace, non mi hai messo sella né briglie ma io mi sento ugualmente prigioniero e… non posso più suonare. Trasformami in qualcos’altro, ti prego. Trasformami in un grillo.
Un grillo? Ripete stupita Carola.
Sì, così sarò tascabile e leggero e potremo continuare a viaggiare a lungo e soprattutto potrò cantare per te. Così sì che mi sentirò libero!
Va bene, dice Carola, anche se certo non è proprio convinta al pensiero di  portarsi dietro un grillo, non perché tema di diventare un po’ come Pinocchio martellato dalla sua coscienza ma perché i grilli non l’hanno mai fatta impazzire. Però è sempre Valentino, e allora le scappa un sorriso e si dice: ma sì, che importa! Ci vuole la formula giusta… Devo solo ricordarmela:
Un due tre... un pizzico di timo e due di rosmarino
Da adesso tu sarai il mio grillo canterino.
E poufffffffffffffffffffffffff! Ecco Valentino trasformato in grillo!
Il grillo si dimostra un compagno di viaggio sempre più divertente e simpatico e con grande allegria percorrono nuovi spazi, e quando si fermano a dormire sotto cieli limpidi e stellati Valentino canta per lei e Carola si lascia cullare e si addormenta felice.
Dal momento che lui ora è piccolo piccolo e così leggero e sta tranquillamente in un taschino, lei lo porta a fare lunghi giri nel cielo sulla sua scopa, perché possa toccare finalmente le nuvole, bianche, morbide che si inseguono eternamente nel cielo.
Valentino le parla a lungo delle sue amiche: io amo le nuvole perché sono sagge, le nuvole parlano, suggeriscono, consigliano. Ti nascondono all'occorrenza, ti consigliano e consolano e ogni tanto ti ributtano giù, sulla nuda terra, perché qualcosa di sicuro te l'hanno insegnato e allora vai un po' da solo e vedi che ti succede laggiù. Puoi sempre risalire, quando vuoi... Ma loro non smettono mai di danzare: hanno bisogno di musica per non smettere di respirare. E io allora le accompagno con il mio organetto. Ci si fa compagnia a vicenda.
E poi si spingono ancora più in là, volteggiando, fino a raggiungere la luna. E Carola gli racconta quello che ha imparato su questo magico pianeta, sulla sua forze occulte, sulla sua capacità di influenzare le cose, di comandare ciò che nasce e ciò che muore. La luna accresce, la luna toglie. La luna sì che può incarnare l’assoluta perfetta cattiveria, un po’ come se fosse una perfetta proiezione del mondo imperfetto in cui Valentino vive.
Ma un giorno Valentino ridiventa improvvisamente cattivo e comincia a graffiarla con le zampine. Ti chiedo nuovamente scusa, ma sono triste: ti ho chiesto di trasformarmi in grillo perché volevo essere allegro e spensierato e pazzerello. Pensavo che il grillo mi somigliasse parecchio. Ma non ci riesco, e neanche così mi sento libero, e neanche così posso suonare.
E Carola diventa sempre più malinconica, avevano condiviso insieme un tempo infinito, un tempo di meraviglie e sorrisi e scherzi in cui erano stati insieme ma il loro rimaneva pur sempre un incontro nel mondo magico e nonostante questo le interferenze del mondo normale non li avevano mai abbandonati.
Bisogna che Valentino ritorni al suo di mondo, quello normale, e che Carola torni agli unici due mondi per lei possibili. Ci vuole la formula, quella giusta e come per incanto Valentino tornerà immediatamente da dove è venuto e neanche per un istante Carola potrà trovarselo davanti. Che tristezza, eh! Ma se ne farà una ragione, prima o poi…
Un pizzico di grano e di amaro sale
Che tu torni dunque nel tuo mondo normale
Un soffio di lavanda e di nostalgia
Che tu torni ad essere ciò che tu vuoi che sia.
Eh… però… stavolta succede un pasticcio perché i lacrimoni di Carola si mischiano al grano e al sale e intanto Valentino è di nuovo indeciso e per un attimo, quell’attimo magico, non sa bene chi o cosa voglia essere, si sente mancare la terra sotto i piedi e non sa più dove si trovi e dove voglia stare.
E così Valentino… pouffffffffffffffffffffff! Si trasforma nel suo organetto!
E a quel punto Carola rimane sbigottita, confusa, perduta… perché si ritrova con l’organetto sul suolo a pochi metri di distanza, e non conosce nessuna magia rimedia pasticcio. E mentre il cavallo e il grillo parlavano, l’organetto proprio no, tace.
Che disperazione, cosa faccio ora? Cos’ho combinato? Ma perché non me ne sono stata buona nel mio buco rassicurante, con tutte le candele intorno e le essenze che bruciano e la mia coperta di foglie per le notti di inverno? Che non lo sai, stupidina, che i desideri non sono roba da streghe? Le streghe si pigliano quello che vogliono con determinazione, non desiderano. Vogliono, e in un batter di ciglia e polverine magiche nell’aria, ottengono.
Tu non solo non puoi desiderare alcunché ma, diciamolo pure, non sei neanche fatta per amare, in nessun mondo. Anche gli abitanti del mondo normale, come le streghe, vogliono, pretendono, impongono e ottengono, che poi si sia felici o no, è un dettaglio al quale in pochi badano. Tu invece sai solo desiderare timidamente, a bassa voce. Carola, sei una strega fallita. E adesso che si fa?
Eh… che si fa adesso? Carola rimane seduta per terra a contemplare l’organetto, in compagnia delle sue lacrime, fino a quando… comincia a sentire qualcosa, come uno strano formicolio alle mani, è come se lui volesse essere preso, e lei si avvicina con cautela. Ecco: è tra le sue mani e… le sue dita si muovono sui tasti o forse no, forse sono i tasti stessi che fanno muovere le dita di Carola…
È come se Valentino stesse respirando tra le sue dita e le stesse parlando attraverso quelle musiche che le suonava un tempo. Chi suona chi? Chi parla a chi? Chi respira chi? Sono diventati magicamente una cosa sola… E Carola ha già dimenticato le sue lacrime e si rimette in viaggio, suonando.
E’ stanca ma continua a camminare, è contenta e non smette mai di suonare, e attraversa lentamente la Francia, fino ad arrivare a Parigi. Si è dimenticata perfino di essere una strega e suona, suona, suona sulle rive della Senna, di ponte in ponte, di giorno in giorno, di melodia in melodia.
E il tempo scorre, lento come le acque del fiume. Lento, come le stelle che trapuntano il cielo, quando Carola si addormenta sotto un ponte. Lento, come le nuvole che continuano a danzare ascoltando la musica di Valentino e Carola.
Ma le streghe, si sa, son dappertutto e anche Parigi ne è piena.
Ed è così che Carola si imbatte in una vecchia vecchissima signora, apparentemente innocua, che se le guardi però in fondo agli occhi vedi come delle fiammelle che si agitano frenetiche e un po’ ti spaventi… Si tratta niente meno che della strega della Senna! Lei sì che è potentissima, lei sì che riconosce al volo le streghe e i loro pasticci. Lei sì che ha una soluzione per ogni problema.
La strega ferma la nostra Carola e la apostrofa: tu, mia cara, sei proprio una strega pasticciona. Volenterosa, sicuramente, ma tanto tanto maldestra e molto molto distratta. Vuoi fare la suonatrice d’organetto a vita, forse? Hai una missione da compiere nella tua esistenza, sei una strega, quindi ti darò una mano a porre rimedio a questo tuo pasticcio. Cosa vuoi fare, portarti dietro un umano sotto forma di organetto per sempre? No, no, no… non si può. E ricorda sempre una cosa, non siamo noi che non esistiamo per loro: sono gli abitanti del mondo normale che per noi non esistono. E’ tutta una questione di punti di vista, bisogna sempre ribaltarli, è questo che salva la vita, anche a noi streghe che in un certo senso non ne dovremmo avere mai bisogno.
La strega fa una giravolta, i suoi lunghi capelli bianchi fluttuano per qualche istante nell’aria per poi ricadere sulle sue spalle ricurve e continua a parlare:
Non pensare però di cavartela impunemente: il mio incantesimo ti priverà dei tuoi poteri. Non sarai più una strega ma sarai condannata a vita a percepire tutti i problemi di tutta la gente che incontrerai, non potrai compiere più alcuna magia ma ti farai sempre carico degli altri e continuerai a dover scappare per trovare sollievo. Per te adesso esisteranno solo due mondi, quello normale e il tuo. Ti ci abituerai, col tempo…
Detto questo, la potente strega della Senna fissa il suo terrificante sguardo su di lei, leva le mani al cielo e poi le punta verso Carola e l’organetto, pronunciando la sua formula magica:
Che il sentiero pria unito
Sia da me poscia diviso
Di Valentino ritorna il viso
Tu suonatrice ritorna al tuo sito
Ad ognuno la sua via, così ho detto e così sia.
E pouffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffff!
Carola, terrorizzata come mai le era successo, non fa neanche in tempo a posare l’organetto da qualche parte, anzi non ci pensa nemmeno, continua a tenerlo stretto a sé come se potesse difenderla da tutto quello che sta accadendo e, nel giro di pochi secondi, si ritrova avvolta da un gran fumo, e… l’organetto improvvisamente… riprende le sembianze di Valentino.
E così la nostra Carola e il nostro Valentino si ritrovano abbracciati… e così stretti e così vicini possono finalmente guardarsi negli occhi.

A questo punto però la nostra fiaba s’interrompe, perché noi di finali lieti e anche tristi per le fiabe ne abbiamo a bizzeffe, ma lasciamo che le storie del mondo reale vadano avanti da sé.
Possiamo solo dirvi che oggi su Parigi risplende un sole d’autunno sereno, e le nuvole danzano, tra un frammento e l’altro di azzurro cielo.

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