Spider-Boy

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domenica 3 novembre 2013

Quel posto chiamato nostalgia


SanDomenico
Ilaria Guccione, Saudade (Palermo, settembre 2013)

In greco “ritorno” si dice nòstos. Álgos significa “sofferenza”. La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. Per questa nozione fondamentale la maggioranza degli europei può utilizzare una parola di origine greca (nostalgia, nostalgie), poi altre parole che hanno radici nella lingua nazionale: gli spagnoli dicono añoranza, i portoghesi saudade. In ciascuna lingua queste parole hanno una diversa sfumatura semantica. Spesso indicano esclusivamente la tristezza provocata dall’impossibilità di ritornare in patria. Rimpianto della propria terra. Rimpianto del paese natio. Il che, in inglese, si dice homesickness. O in tedesco Heimweh. In olandese: heimwee. Ma è una riduzione spaziale di questa grande nozione. Una delle più antiche lingue europee, l’islandese, distingue i due termini: söknudur: “nostalgia” in senso lato; e heimfra: “rimpianto della propria terra”. Per questa nozione i cechi, accanto alla parola “nostalgia” presa dal greco, hanno un sostantivo tutto loro: stesk, e un verbo tutto loro; la più commovente frase d’amore ceca: stỳskà se mi po tobě: “ho nostalgia di te”; “non posso sopportare il dolore della tua assenza”. In spagnolo, añoranza viene dal verbo añorar (“provare nostalgia”), che viene dal catalano enyorar, a sua volta derivato dal latino ignorare. Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell’ignoranza.  Tu sei lontano, e io non so che ne è di te. Il mio paese è lontano e io non so cosa succede laggiù.
(Milan Kundera, da: L’ignoranza)

Nostalgia è questo non sapersi il giorno del ritorno.
Immaginarsi mille volte il gesto del saluto, l’incontro rinnovato, le antiche geometrie di un abbraccio, il battito del cuore accelerato, l’odore dell’erba impregnata delle memorie ambigue della notte.
Prendere appunti, intanto. Sperare di riconoscersi tra i piedi la strada che sa di casa inchiodandoci i ricordi come cartelli, aggrapparsi ai sassi, alle crepe delle case, al cielo stordito dal tramonto, ridisegnarsi un sorriso antico che allo specchio continua a salutarci straniero.
E lui che finalmente scorse la strada del ritorno, si regalò il passo cieco del silenzio fino a raggiungere vendetta e donna e regno. Ma fu un approdo di momentanea quiete, ché già pensava a regalare al mare e a sé nuova partenza.
Ed io che dopo anni mi portai a forza sotto quel balcone, armata di dolore e malcontento, alzai lo sguardo verso quel cielo che minacciava di parlar di pioggia e mi ritrovai pronta per mille altri viaggi. Fu come incappare in un sorriso che mi sapevo già e che avrei ancora incontrato in chissà quanti ritorni.



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