Spider-Boy

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giovedì 6 febbraio 2014

Deflagrazioni

Ilaria Guccione, Accura! (Palermo, febbraio 2014)
 
Pezzi su pezzi, pezzi di pezzi intorno. Solo pezzi rotti dentro. Raccogliere tutti i pezzi per aggiustarsi. Avere colla buona che odora di pazienza e tempo. E dita che sanno coincidere e coincidenze che ci toccano. E aspettarsi che poi manchi ugualmente qualcosa, ché il lieto fine è gioco da film e ci si aggiusta solo al peggio.
Sappiamo solo crollarci addosso. Che così si piange meglio, che così si ha sempre pronto un motivo di lamento.
 
E gli eventi scontati ad incrementare nausea e a rimuovere appetiti stentati: i tg delle rassicurazioni, i presidenti che si raccomandano e si approvano, gli amori sintetici, i pentimenti asfittici. Trionfano le rappresaglie, per ogni dove, apotropaiche. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E il deprimente apparire, il qua qua qua… sono qua sono qua sono qua. E come sempre si scambia il cortile per proscenio. La logica del fare ha punteggiatura attenta e allora la tieni a distanza, ché ogni messa a punto ti spaventa, pensi di capovolgerla e invece ti ritrovi a camminare sulle mani. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E le eccezioni sotterrate per eccesso di stupore che a turno fai rimare con terrore o rancore. E’ la necessità superflua del gioco, l’ostinazione del giocatore che persegue regole malintese. E ti ritrovi di nuovo a camminare sulle mani mentre trattieni il fiato o ciò che più gli somiglia e perdi il passo, l’ora e il marciapiede. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E il sottinteso del dubbio, l'arte del peccatore, il pensiero che cigola e la testa che sbatte dove il ricordo duole. E’ il sorriso che zoppica, che anche se ti giri ha fruscio di tempesta. Ci sono notti in cui nessuna direzione ha senso, ché da altezze diverse si sa precipitare male. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E l’istinto del niente, quello che accende e consuma e quando ritorni non trovi varchi di parole. Sul tuo cemento si estinguono le ombre del “chissà come mai” e intermittenze e cortocircuiti autoreferenziali in prossimità. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E gli sproloqui nocivi al bel pensare. E riecco il demente qua qua qua… sono qua sono qua sono qua! E si riscambia cortile per proscenio. Il ben dell’intelletto ha respiro silente e un’unica parola per risposta, sottovoce: fottetevi. E’ il buonsenso dell’essere consistenti, l’approccio ripido dell’esserci. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E il dolore così stretto che non lo sai più misurare. E dita che per contarsi si scontano fino ad un luogo di tre lettere che non concede il rammendarsi, lì puoi solo scucirti il senso e dai che lo sai che ti riesce a meraviglia. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E l’approdo mancato, ché il dolore ti sfascia lasciandoti provvisorie anestesie nella memoria. Il luogo giusto non si disegna in spazi ma in accordi di senso, che se non ti navigano tra le dita non possiedi ritorni per nessuna partenza. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E la prima sigaretta che stordisce il dolore e tutto quel “faccio, non faccio per te” che desideri un deus ex machina che almeno ti soffi lui sul tormento. E l’amore che è un’eccezione da scommettersi solo se sai l’azzardo e puoi il respiro per trattenerlo oltre. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E dettagli che si appropriano di te e ti raccontano come questa pioggia fuori che dilata malinconie e tu ci credi e ti ascolti anche se adesso non piove. Ogni storia ha il peso della polvere, è il gioco del sottinteso che per capire ti scavi e rischi di soffocare e intanto collezioni graffi. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E il punto che non è punto se domanda. Puoi fingere di non ascoltarti e allora fai tre giri su te stesso, ché tanto lo sai che rimani fermo e ogni giravolta vale un alibi per invecchiare senza che nulla ti cambi. Così hai la finta leggerezza di un abito usato e ti puoi dire contento ad ogni sorriso nello specchio. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E beati gli idioti che son così certi di consistere e generano il nulla o il danno assolto. Non rassicura l’arte ma distrugge, ché ha necessità di fuoco e cenere. E soffriti i frantumi, intascali ché hai creato un capolavoro nel tuo farti guerra da solo. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E il beneficio del buio, la scatola chiusa, le labbra rimosse. Restiamo serrati a contare la rimanenza di un niente che ci facciamo bastare per giustificare con un “va tutto bene” il nostro essere fuori posto, come se un porsi di spalle ci potesse regolare il quieto vivere. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E il dirsi in controluce che è sempre meglio rinunciare, che così ti ripeti non sono mica fermo e la fortuna gira e già ti scordi che lei ti rovina ogni passo prudente e non precipiti lì dove tu sai, solo se il volo lo tenti. Sarebbe bastato un “ritorno più tardi”, una pistola puntata sul cuore e uno sputo per lasciarti dietro un distinto saluto. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E la convenienza del cazzo, quella buona solo per la censura bieca da bar del centro ma sbrigati che ho solo un quarto d’ora. E le tue scuse da caffè ristretto non le sento: ho il volume dei pensieri troppo alto e la condanna del “come se” da sotterrare con accuratezza. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E la coerenza, che non la trovi neanche di contrabbando. E’ il voler ficcare cocciuti il poi nel prima, l’infognarsi nella scarpa di Cenerentola o nei pantaloni dei tuoi vent’anni: come ad accusare il tempo di malafede quando non trovi più argomenti per la tua ridicola casina di sabbia. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E spargi e ancora spargi ma non semini niente, ché è solo pianto ed eco di sangue e se non l’asciughi da te saranno passi estranei a farlo. Più opportuno il pugnale che il pregare, più savio l’impazzire in questo mondo che si vuole lineare. Ti bacio nel ricordo, della tua lama farai buon uso anche tu, lo so. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E la condanna della normalità: come bussare a un portone che qualcuno decide sbagliato per te. O cambi indirizzo o sfondi, il frantumarsi la testa è compreso nel prezzo, il farmi posto è un optional, ché l’affezione al disordine è privilegio del coraggio. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E partenze che ripartono e ti immalinconisce quella smania del nuovo che ti sorrideva su una spalla, senza tregua. Ché ogni nuovo passo è un dono da rimestare nella memoria. E brandelli sovrapposti di tempo ti percuotono e a volte i colpi dolgono, sì che lo sai. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E continuiamo a viaggiare seguendo direzioni ribaltate per incontrarci meglio, assimilarci in pelle e fiato a giusta distanza tra le nuvole dell’andata e del ritorno. Solo così riusciamo a dirci che continuiamo a vivere seguendo quel movimento necessario che più di noi si ostina a ribaltare il Caso, ad ogni nostro saluto ordito in lontananza. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E il tempo che ti naviga ma non te l’aspetti, ché non ti puoi concedere pause dal pensare e allora te lo distendi e riconti la notte, come un abbraccio di passaggio che è già andato. Iperboli di cristallo da colmarti la memoria, solo se sai ancora soffiare sulla polvere. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E chiudi gli occhi e conta e girati lentamente: ci sono ombre stabili sul muro. E allora tieniti buona compagnia, ché ogni fine è convenzione inopportuna, tu continua a camminare e ricucirti aggirando ogni inciampo e ogni strappo. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E la solitudine da sillabare usando lettere per rime improprie. E no che non te la chiedo neanche una sigaretta e il marciapiede lo sbaglio con precisione da sempre. E allora non ci pensare, ché i miei pezzi sulle scale me li calpesto da me, con infinita premura. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E la divertente crudeltà delle coincidenze postume, quelle che osservi da due vite avanti. Tientela per mio cattivo ricordo, e che ti basti e avanzi. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E i due piatti della bilancia che tanto c’è comunque lo stesso materiale da pesare. E sempre qualcosa da pagare e in cambio ci si spesa a stento. E intanto meglio far finta di niente, sennò non puoi dire di stare in piedi mentre sei già caduto. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E tu che balzi come un vinile alla velocità sbagliata. E’ l’intoppo del tempo e di altro ancora, che tanto non intendi perché ti sfugge ogni parola. E scivoli allora e ti rabberci il senso nella tua testa che gira da sempre in controtempo. Il turbine, quello sì che ti rassomiglia e che lo sai sillabare. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E prefiche che assoldandosi da sé blaterano sfacciate omelie, scambiando il pisciare fuori dal vaso col demarcare un territorio come proprio: è il pensare becero che abbrancare un perimetro dia diritto a invaderne l’area, vivaddio prigioniera solo di sé. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E ciò che si dice appeso a un filo. E' il dilemma della scelta che si consuma tra l’essere Penelope o Atropo: o continui a tessere o recidi, è il ripetersi sottovoce che ogni scelta avviene per necessità. Gira quel filo, gira, avvinto fra le dita. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.
E l’inganno dei tuoi passi sul selciato che si perde nella sera, senza lasciare suono e traccia, ombra tessuta che non conosce trama. Se vuoi ti calpesto, ti oltrepasso se puoi. Conto uno ad uno i sassi che incontro. E’ sempre stato così tra noi, un lento incauto misurarci prima di ogni fuga. Ben vengano le deflagrazioni allora ma solo se non ti manca il fegato per ricostruire. Dalle fondamenta, beninteso.































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