Spider-Boy

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mercoledì 6 marzo 2013

Chissà perché ricordo te stasera

Ilaria Guccione, L'ultimo gradino (Palermo, 2013)


Il bambino protesta in una lingua che non è la mia e scende senza l'aiuto del padre. Un gradino alla volta e ha conquistato il mondo, quello tutto suo, quello di un giorno di inizio marzo o soltanto del mattino, ché di sicuro ne avrà ancora di universi da conquistare prima di sera. Tra qualche giorno tornerà a casa e chissà se se lo ricorderà questo tripudio di gradini, questo teatro che a girarci intorno puoi giocarci a nascondino. E' tutto normale, è tutto sotto controllo, i turisti che spargono sorrisi per la piazza, i venditori annoiati di souvenirs, gli zoccoli dei cavalli che sbattono mentre qualcuno ti invita con insistenza a fare un giro in carrozza. Quella fuori posto sono io, che continuo a guardare i gradini. Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale / e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.* E vai a capire perché mi sorprendo la voce che ripete questi due versi, io che, a pensarci bene, di scale ne ho salite e scese fino a perderne il conto e lasciarci il fiato e raramente dando il braccio a qualcuno. Eppure su qualche gradino ci ho lasciato di sicuro qualcosa. A ritrovare quelle scale lì, forse mi ricorderei. E vabbè ma dai che se ci pensi bene qualcosa ti viene in mente. Ma sì ma certo ma parliamone un'altra volta, non stasera e vabbè ho capito, solo qualche frase. Dice che l'anno stava morendo con una dolcezza di primavera che le regalava un sole addolcito e la piazza era viva e c'era un gran traffico e poi c'erano tutti quei gradini a controllare dall'alto ogni movimento.** Ma sì quella scalinata che anche se non ci sei stato la conosci per forza. Hai presente quella scalinata? Dice che la voce della piazza arrivava fino in via Sistina, dove Andrea aspettava che Elena arrivasse. E dici che con me non c'entra niente? E vabbè, ma la scala è quella là e io nel '93 me la son fatta tutta e sono andata a cercare palazzo Zuccari, quello di Andrea. Che se mi avessero detto che a distanza di anni avrei passato ore là dentro, salendo e scendendo, di piano in piano, di scaffale in scaffale, conquistandomi un tesoro di libri su cui passare ore, non ci avrei mica creduto. E vabbè, dici ancora che con me non c'entra niente? Sì, ho preso in prestito un'altra storia, quella mia oggi non mi va di raccontarla, ho una mano cattiva che le parole non le trova, ché forse quelle buone sono quel peso che mi si è fermato in gola. E adesso scendo e me ne vado, su quei gradini che ho nella memoria. Il tempo necessario al salto ed al saluto.


* E' l'incipit di una poesia di Eugenio Montale.
** "L'anno moriva, assai dolcemente. Il sole di San Silvestro spandeva non so che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile, nel ciel di Roma. Tutte le vie erano popolose come nelle domeniche di maggio. Su la piazza Barberini, su la piazza di Spagna una moltitudine di vetture passava in corsa traversando; e dalle due piazze il romorio confuso e continuo, salendo alla Trinità de' Monti, alla via Sistina, giungeva fin nelle stanze del palazzo Zuccari, attenuato." E' l''incipit de Il Piacere, di Gabriele D'Annunzio.
 


2 commenti:

  1. Bellissimo. Bellissimo. Bellissimo. E te ne ringrazio. Anche a nome di chi non lo porta, un nome.
    Giorgio-Andrea

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