Spider-Boy

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lunedì 11 marzo 2013

Piango e rido come allora

Ilaria Guccione, Non guardarmi così (Palermo, 2013)

Andiamo ma andiamoci piano. E dove andiamo? E no che non lo diciamo, che se ci ascoltano diranno che  il nostro andare è sempre troppo lontano, che è un azzardo, che noi ci si diverte a giocare d'inganno. Ci offriranno strade più facili, discese sdrucciole e scontate e ad ogni traguardo la loro benedizione. Come se fosse un premio, come se ci servisse a qualcosa. Sarebbe più utile offrirci un fazzoletto per le lacrime o per il sudore. Che se questo andare non è un girotondo per rimanere fermi è roba che costa parecchia fatica. Ma loro non lo sanno e se lo sanno mica te lo dicono, che altrimenti te ne vai e non ti trovano più.
E proviamo a passare come possiamo che intanto ci passa il tempo. Non mi credi? E prova a fare il conto dei miei capelli bianchi, che non sono donna da tinture e camuffamenti anti età né da mode colorate e mi tengo tutti quei tanti capelli che ho e vedrai com'è che passa e com'è che mi è passato. Comincia a passare che sei lontana e ti dicono che non ti devi preoccupare, che tuo padre sta bene. E tu ti senti addosso all'improvviso tutti quei chilometri muti e aspetti almeno un monosillabo di senso. E hai già capito che quel tempo lì sulla lunga distanza che ti sei guadagnata ti è scaduto. E ti ritrovi che sono passati pochi giorni con quella nota stonata in testa all'improvviso che sta lì a dirti che faresti bene a tornare. E ci piango e ci rido, su questo tempo bastardo che non ci puoi fare niente, tu fai quel che ti va o che ti pare e lui intanto va. E ora che il conto dei capelli bianchi si perde e neanche conviene starci su, ora che a far di conto ogni tanto i miei genitori ne hanno meno di me e io glielo dico e ci rido su, ora che. Ora che. T'importa l'ora? No, che non ti importa perché usi un orologio diverso da me che non ne uso affatto. E no che non ho preghiere né in tasca né in borsa che mi facciano tornare indietro. Io che alla prima confessione non ho spiccicato parola perché non capivo che colpe potessi avere da raccontare. E ostinata nel mio silenzio, ho assolto il prete dal suo compito perditempo. Che preghiere vuoi che abbia io? Io che la sera so solo pettinare lentamente il mio bianco controvento e ci rido e piango ancora, ripetendomi che non devo averne di paura, ché il tempo ormai lo so che non ha premura.


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